Tabacco Veneto, cinquecento anni di storia tra magia, economia e status symbols

Come la patata trovò consumo solo molti anni dopo la sua introduzione dal Nuovo Mondo, ma la sua espansione fu molto veloce. La Serenissima Repubblica costituì il primo monopolio in Italia e ancora oggi il tabacco rappresenta una voce importante per il settore primario regionale
Chi sia stato il primo veneto ad accendersi un sigaro non è dato saperlo e nemmeno quando avvenne la prima boccata di fumo, di certo, però, fu molto tempo dopo che il tabacco venne introdotto in Italia, insieme a tutti gli altri prodotti che la colonizzazione dell’America aveva portato nel Vecchio Mondo. Come per le patate, infatti, il suo uso rimase in forma sperimentale per diversi decenni. Malgrado esistessero resoconti piuttosto precisi sull’uso che ne facevano i popoli amerindi, cioè fumato in grossi cilindri di foglie secche dello stesso tabacco o trinciato per riempire i fornelli di imponenti pipe, come i calumet, se ne cercarono principalmente le implicazioni mediche. Non proprio come faremmo noi oggi, cercandone i risvolti negativi per il nostro corpo, ma piuttosto cercando di capire a quali effetti positivi poteva indurre il suo consumo. Di sicuro a motivare tanta curiosità deve essere stato il fatto che quelle originarie civiltà il tabacco lo usavano per i propri riti religiosi, come sostanza capace di aiutare stregoni a sciamani ad entrare in trance, per trovare contatti con l’aldilà e toccare tutti quei livelli che stavano fuori dall’intellegibile come le guarigioni miracolose. Anche in Europa la medicina era ancora figlia dei prodigi, il metodo scientifico arriverà di lì a qualche decennio e più che all’uomo verrà applicato alle stelle. Quelle di Galileo. Tanto per dire che la medicina non aveva basi solide, ma andava a tentoni e chiunque al tempo poteva dire la sua, anche un botanico.

Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, dal quale deriverà più tardi il termine di nicotina, consigliò il tabacco alla regina Caterina de’ Medici per le cure delle forti emicranie di cui soffriva il figlio Enrico III
Per Pier Antonio Michiel, infatti, stimato veneziano studioso di piante della seconda metà del XVI secolo, il tabacco era utile per curare la cancrena, ma poi morì proprio di questo male nel 1576 e forse anche per questo le sue “intuizioni” mediche vennero messe in discussione. Se ne doveva comunque dedurre che il tabacco non fa bene? Per la cancrena no, ma usato in piccole prese e “fiutato” poteva essere un buon rimedio al mal di testa. Anche Jean Nicot, ambasciatore francese in Portogallo, dal quale deriverà più tardi il termine di nicotina, lo consigliava alla regina Caterina de’ Medici per le cure delle forti emicranie di cui soffriva il figlio Enrico III. Dunque passarono gli anni prima che il tabacco uscisse dai vasi degli speziali e diventasse quel genere di consumo di massa dei tempi contemporanei. Ma, a dire il vero, non moltissimi. Solo una cinquantina d’anni dopo il re d’Inghilterra Giacomo I ne esecrava il consumo considerandolo “un’abitudine spiacevole per l’occhio, odiosa per il naso, nociva per il cervello, pericolosa per i polmoni, e che per le sue nere e puzzolenti esalazioni ricorda l’orribile fumo che proviene dal pozzo senza fondo dello Stige”.

Il re d’Inghilterra, Giacomo I
Ecco, in questo dibattito a distanza tra teste coronate è interessante considerare che per re Giacomo il tabacco è un’abitudine, cioè è già quasi un vizio e anche piuttosto diffuso se già a quel tempo era riuscito a darne una rappresentazione così realistica sul piano medico. Lo testimonierebbe anche l’oggetto forse più popolare che connota il fumo nel nostro Veneto, ossia la pipa chioggiotta. La più antica rinvenuta ad oggi riporta stampigliata la data 1655, ma è certo che non fu la prima ad essere realizzata e che i fumatori avevano già iniziato a tenerla in bocca da molto tempo. Anche perché si fumava ancora prima dell’arrivo del tabacco.
La più antica pipa chioggiotta rinvenuta riporta stampigliata la data 1655, ma è certo che non fu la prima ad essere realizzata e che i fumatori avevano già iniziato a tenerla in bocca da molto tempo
Ci sono dati molto più solidi, invece, per confermare la veloce penetrazione del tabacco nella nostra regione, ossia la sistematica messa a coltura che ne fece la Serenissima Repubblica sulle alture dell’Altipiano di Asiago e nei comuni della valle del Brenta, tra la Valstagna, Oliero, Campolongo, Campese e Valrovina. Per gli affari Venezia, indubbiamente, aveva fiuto ma in questo caso il tabacco, anche se ancora diffuso l’uso di inalarlo in piccole prese dalle narici, era quello da destinare al fuoco dei fiammiferi. Di quel tabacco (tra l’altro nella zona del Brenta esiste ancora una produzione di eccellenza con il nome di Nostrano del Brenta) ne fece il primo Monopolio in Italia. Quello del sale già lo aveva da secoli, con il commercio delle produzioni di Chioggia, e così forse nacquero anche i primi Sali &Tabacchi e tutto il contrabbando che segnò i secoli successivi. Palazzo Ducale, infatti, vietò la semina del tabacco con un decreto del 1654 su tutto il territorio veneziano ad esclusione delle zone autorizzate, vietò la vendita privata e impose un dazio su tutte le foglie d’’importazione. Norme così stringenti su una merce tanto remunerativa non poteva che dar luogo ad un commercio illegale parallelo, anche se la vigilanza era piuttosto stringente.

Foto di jan mesaros da Pixabay
Le cronache riportano episodi di particolare intraprendenza nel reprimere le coltivazioni abusive, ad esempio un ispettore veneziano inviato a Bassano del Grappa per eliminare tutte le piantagioni non autorizzate, malgrado fosse stato aggredito quasi a morte dal montanaro autore dell’illecito, eseguì scrupolosamente l’incarico ricevuto sotto le percosse. Le cose non cambiarono nemmeno quando il Veneto divenne austriaco, Mario Rigoni Stern nel suo libro “Storia di Tönle” spiega bene quali fossero le attività che i pastori dell’Altopiano intraprendevano per arrotondare le magre entrate. Tönle Bintarn, infatti, è uno dei tanti abituati ad attraversare il confine italo-austroungarico nei boschi di Asiago con un zaino pieno di merce di contrabbando. Ma l’ottocento è anche il secolo in cui cambia il modo di fumare, iniziano a comparire i primi sigari proprio per sostituire tutta l’attrezzeria di cui la pipa aveva bisogno. Per fumare basterà tirare fuori dal taschino del panciotto un mozzicone, cacciarlo in bocca e accenderlo. Il fiammiferi avranno una prima diffusione proprio per sostituire i complicati acciarini che di lì in poi troveranno posto solo nei musei. La sigaretta, che pare sia stata inventata dai dai soldati musulmani durante l’assedio di San Giovanni d’Acri, nell’odierno Israele, riempiendo di tabacco i tubetti di carta svuotati dalla polvere da sparo usata per i fucili, accelerò ancora di più le cose. Il fumo diventò il simbolo della modernità. Quello delle ciminiere e dei treni fu uno dei simboli dell’industrializzazione, della velocità come segno della nuova epoca, al quale fece da compendio quello di sigari e sigarette in termini di status symbol, passando dalle bocche di tutti: dalla classe proletaria ai ricchi borghesi tracotanti e oziosi, dipinti da Otto Dix e Georg Grosz, fino alle donne che proprio del fumo fecero un simbolo della loro emancipazione.

Otto Dix, ritratto della giornalista Sylvia Von Harden
La medicina era ancora lontana dall’individuarne gli effetti nocivi sulla salute, anzi per gli effetti tonici della nicotina e un po’ per le antiche e presunte doti magico-taumaturgiche del tabacco, la sigaretta era considerata una sorta di doping per i soldati al fronte, così come il tabacco da pipa era consigliato ai prelati come antidoto contro le tentazioni di tipo sessuale. I consumi, piuttosto, erano stabiliti dalle macchine della rivoluzione industriale, impegnate a confezionare milioni e milioni di sigari e sigarette. Nelle trincee della Grande Guerra la ricerca di mozziconi per recuperare un po’ di tabacco divenne il principale passatempo dei soldati tra un attacco e l’altro, mentre i sigari divennero sempre più ad appannaggio delle classi più alte. E furono proprio i numeri a dividere la storia dei due modi di fumare, la guerra aveva portato a triplicare il mercato delle “bionde” e un’ulteriore distacco avvenne quando arrivarono le prime fumatrici.
Le donne negli Stati Uniti iniziarono a fumare agli inizi del 1900, utilizzando le sale d’attesa per signore delle stazioni ferroviarie, ma dal 1917 il fumo divenne costume aperto tra il gentil sesso anche in Italia. Sono gli anni in cui, proprio per effetto di questo consumo di massa, anche altre aree del Veneto vengono coinvolte nella produzione di tabacco. Nel Veronese, per esempio, o nel Montagnanese la coltura trovò larga diffusione anche grazie alla grande presenza di acqua, ma soprattutto grazie alla grande disponibilità di manodopera. Il ricorso alla meccanizzazione, infatti, era ed è ancora piuttosto complicato, sia per le lavorazioni in campo sia per le successive fasi di essicazione e lavorazione. Per un ettaro Kentucky ad esempio, usato per la fabbricazione del sigaro toscano, occorrono circa 700 ore lavorative che indubbiamente pesano sul costo finale del prodotto finito, ma si sa il fumo è un vizio e si fa fatica a smettere. Tant’è che ancora oggi, in epoca di “vaping” e sigaretta elettronica la produzione di tabacco in Veneto è pari a circa 26 mila tonnellate e rappresenta il 20% della produzione nazionale.

Foto di Couleur da Pixabay
Coltivato su una superficie di oltre 7.300 ettari da parte di circa 500 aziende agricole, coinvolgendo quasi 9000 addetti, è oggetto di attività di prima trasformazione in una filiera caratterizzata da significativi processi di ammodernamento per i quali negli ultimi anni gli investimenti hanno superato i 125 milioni di euro. Sono due le aree di coltivazione e sono rimaste più o meno quelle storiche: il veronese, dove la varietà prevalentemente coltivata è la Virginia Bright, se ne producono circa 24 mila tonnellate, e l’area situata tra le provincie di Padova, Treviso e Venezia dove invece è prevalente la varietà Burley che raggiunge le 2 mila tonnellate di produzione ogni anno. Il tabacco veneto si caratterizzato per una qualità elevata ed è apprezzato dalle imprese manifatturiere multinazionali come la Philip Morris con cui il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali ha instaurato proficue intese programmatiche come l’innalzamento degli standard qualitativi della produzione tabacchicola e alla riduzione dei residui nel tabacco (nitrosammine). Il Tabacco è un prodotto oggi sotto la lente d’ingrandimento della medicina per le sue implicazioni sulla salute, ma che continua ad appassionare perché se è vero che il fumo fa male, la filosofia insegna che il piacere è uno degli stati della vita che l’uomo continua ad inseguire.