Dal “Baratto” ai “Schèi” Il declino della cosiddetta “Civiltà Contadina”

Dalla stretta di mano per gli affari e gli scambi, al denaro di metallo, poi di carta ed ora elettronico, accumulato da pochi a scapito dei più, si è consumata una civiltà. Ricordi di un tempo quando non c’era il PIL, le Banche erano Istituti di cui fidarsi, e di quando eravamo ingenui attori, a scuola, della ”Giornata del Risparmio”
Non ho mai capito cosa sia stata veramente la troppo invocata “Civiltà Contadina”, se non una serie di usi e consuetudini praticati nell’ambiente che ci ha generato! Non la si può paragonare a una Civiltà Ellenica, Egizia o Romana, perché di quella contadina sono rimasti pochi segni, frettolosamente cancellati da noi, figli di questo mondo! Non ci ricordiamo più cosa era il risparmio e l’uso appropriato del poco denaro disponibile e soprattutto dell’aiuto materiale e reciproco fra paesani, parenti o conoscenti, con l’impegno morale del risarcimento o del ritorno di quanto ricevuto. Il “Baratto”, ad esempio, è stato per secoli una pratica fondante del vivere in campagna; si faceva la spesa pagando con le uova di gallina, si scambiavano campi, animali, foraggi, cibo, anche in cambio di lavoro o di altri beni materiali, dopo una reciproca valutazione verbale, siglata con una stretta di mano. Mi raccontavano gli anziani di famiglia che, nel “ventennio” con in vigore le leggi autarchiche per l’autosufficienza economica nazionale, a casa mia hanno deciso di seminare il cotone, pianta tessile come la canapa, il lino e la ginestra, e di consegnarlo allo Stato attraverso l’Ammasso volontario presso i Consorzi. Ovviamente il prodotto veniva pagato al contadino una volta che il Consorzio lo aveva venduto, così per pagare le “opere”, i lavoratori che si occupavano della raccolta, mio nonno seminava due file di cotone e una di “capuzzi” che servivano per mantenere le “opere” e le loro famiglie, e poi con i schèi del cotone manteneva la sua famiglia e pagava il padrone dei campi, da “San Martìn”. Un terzo per le “opere”, un terzo per le spese del conduttore e uno al padrone della terra. Era un mondo semplice, equilibrato e improntato sulla parola data e sul rispetto reciproco, rispetto che veniva meno quando si trattava di versare schèi allo stato, fosse quello italiano, ma soprattutto a quello austriaco e ancor prima francese.
È di quel periodo la nascita dell’uso più diffuso del denaro di metallo, del termine schèi, e del banditismo di chi non voleva, o non poteva, accumularne per soddisfare gli appetiti sempre crescenti di Stati stranieri. Il termine schèi, che usiamo tuttora in veneto, è assodato derivi dal tedesco “schei-de-munze” stampigliato nella moneta di un centesimo di lira austriaca, che voleva dire “moneta divisionale”, ma che veniva letto anche, con dispregio del dominio austriaco e per il suo poco valore paragonabile ai nostri ovunque presenti 1, 2, 5 centesimi, come “schèì de mona”, e siccome questo era anche fisicamente un piccolo soldo, per traslato “el schèo” è diventato una unità di misura rapportata al centimetro. “Alza la tola de ‘on par de schèi!”
Anche “el franco” pare derivi da una moneta austriaca con l’effigie dell’imperatore Francesco Giuseppe che portava abbreviata la scritta: ”Franc-Ios-Austriae-Imperator”, e così la prima parola della moneta, venetizzata, è diventata sinonimo di lire: “dièse franchi, mile franchi!”
Il termine Lire, in dialetto veneto non è mai stato usato, anzi qualche volta parliamo ancora di “bezzi”, il mezzo soldo coniato dalla Serenissima a partire dal 1525, e di “palanche”, dieci centesimi di lira o un soldo veneto (due bezzi). La palanca era una moneta marinara, in uso anche a Genova e in toscana, ma il termine ha origine spagnola. “Gheto dièse palanche par pàgare la carèga in cesa?”, (dieci lire). La lira era nominata in veneto solo citando canzoni di speranza come “Mamma mia dammi cento lire che in America voglio andar”, o più tardi, col desiderio del posto fisso, con “Se potessi avere mille lire al mese?” Dal canto suo il signor Bonaventura, ideato da Sergio Tofano nel 1917 e pubblicato sulle pagine del Corriere dei Piccoli per decenni, faceva sognare gli italiani con le sue strampalate avventure che finivano sempre per fargli avere “Un Milione”, cifra agognata da tutti e mèta da raggiungere per ogni risparmiatore, perché con un Milione si comperava un campo, e chi non poteva ne comperava mezzo o un “quartiero”. Il Milione era insieme una unità di misura e un traguardo!
E il denaro era certezza assieme alla terra posseduta, la casa veniva dopo. Un detto recitava: “Tera fin ca te ghe vedi, casa ch’el tanto ca te te coerzi!” Ma poi è arrivata, nel 1924, la “Giornata del Risparmio”, celebrata anche nel secondo dopoguerra in tutte le scuole elementari. Arrivavano, il 31 di ottobre, degli incaricati della Cassa di Risparmio a sensibilizzare noi ignari studenti, che al massimo ricevevamo la “mancia domenicale” di dieci palanche buone per comperarci quattro mezze caramelle o due “caròbole” da Leo all’uscita di Dottrina, sul valore del risparmio. Era cosa buona e giusta, e quelli dell’INA-Casa ci facevano fare pure il disegno di una casetta, simbolo di una cosa da realizzare con il denaro risparmiato, e ti premiavano per il disegno con un diploma, mentre la Cassa di Risparmio ti consegnava un libro di metallo, con funzione di salvadanaio, da aprirsi solo in banca e trasferire il valore delle monetine raccoltevi in un Libretto di Risparmio personale sul quale percepivi l’interesse del 3% senza spese di gestione o tasse! Era il massimo! Così al tuo compleanno, da Natale, alla Prima Comunione o Cresima, quando venivano i parenti da Milano, quando spigolavi il frumento dopo la mietitura, quando perdevi un dente e lo infilavi tra le crepe del muro, raccoglievi mancette da inserire in questo libro-salvadanaio, da aprire in banca con trepidazione! E da grande ti sei ricordato di quella casetta che avevi disegnato alle elementari come simbolo del risparmio e hai voluto costruirtene una vera, grande e comoda; magari hai aiutato i figli a costruirne una anche per loro, e dopo tanti sacrifici e risparmi, con rinunce di ferie e feste, hai scoperto che hanno inventato l’ICI, l’IMU, la Tasi, Tari, IUC, e chi più ne ha più ne metta, tanto la casa mica la porti all’estero nei paradisi fiscali! E quel povero Libretto di Risparmio che dava il 3% senza spese che fine ha fatto?
Eliminato a favore dei sempre più costosi Conti Correnti che ti danno tanti servizi, il Bancomat, la Carta di Credito, la Domiciliazione Bancaria, il Fido (che tu pensi che sia un cane fedele! Accidenti!), e altre diavolerie che ti facilitano la funzione principale a cui noi moderni siamo chiamati: SPENDERE! Non importa se hai i soldi, ci sono le Finanziarie! Vuoi cambiare l’auto? C’è lo sconto se fai il finanziamento! Elettrodomestici, televisori, telefonini da 1000 euro, tutto a TAEG Zero e rate “bassotte”! E le Banche sono in crisi per aver dimenticato la loro funzione principale, prestando soldi ad amici e a sconosciuti senza coperture sufficienti e che non hanno vissuto, o non si ricordano, la “Giornata del Risparmio”, tanto c’è l’Ipoteca! E così abbiamo lottizzazioni incompiute anche in Veneto, case e capannoni inutilizzati e all’Asta Giudiziaria, e i Tribunali sono diventati le più grandi Agenzie Immobiliari! Chi vivrà vedrà!