Maggio: mese delle rose, delle spose ma soprattutto della madre e c’è un perché
Tra maggio e madre esiste un nesso che sprofonda le sue origini nella protostoria. Risale agli antichi veneti il culto di una divinità femminile come personificazione della terra, dell’abbondanza e della fertilità richiamata dalla stagione
A maggio l’arrivo della primavera, che nei mesi precedenti era stato solo un leggero accenno, una promessa, diventa viva conferma. Il pulsare della vita ritorna con i suoi riti negli orti, nei campi e in ogni forma di natura con il verde brillante dell’ormai avviata stagione. L’aria si impregna di profumi veloci, nel senso che sono propri dei luoghi e cambiano in fretta come dal giardino al prato, dalla siepe all’aperto campo. Persino i suoni paiono avere la stessa forma accelerata di una stagione femminile che va di fretta, piena di un vociare all’aperto, nelle serate tiepide e distese del fioretto, ronzii di preghiere attorno agli altari. E’ il mese della madre e lo era anche prima che maggio diventasse il mese di Maria madre di Gesù.
Tra maggio e madre, infatti esiste più di nesso, quello etimologico, che porta al nome del mese, risale ai tempi dei latini, in quanto nel loro calendario di dieci, e non dodici, mesi, maggio era dedicato alla dea Maia, la divinità che impersonava la Madre Terra, alla quale erano rivolti i riti e gli auspici di fecondità. Il secondo nesso sprofonda la sue origini in un tempo ancora più remoto rispetto al periodo romano. Già nella protostoria si ha notizia del culto di una divinità femminile come personificazione della terra. Di Este al tempo degli antichi veneti, ad esempio, conosciamo con precisione diversi luoghi destinati ai vari culti grazie ai reperti riemersi in località Caldevigo o nel fondo Baratella. In località Morlungo sono stati rinvenuti ex voto (databili tra il IV e il I secolo a.C, oggi conservati al Museo Nazionale Atestino) che riproducono organi sessuali femminili e maschili che lasciano ipotizzare la presenza di un santuario dedicato ad una divinità protettrice della fecondità. Risale, inoltre, sempre a questo periodo il santuario dedicato alla dea Reitia, che a tutti gli effetti rappresenta una delle primissime divinità femminili.
E’ indubbio dunque che il culto romano di Maia sia da ricondurre a questi esempi precedenti visto che gli stessi luoghi “sacri”, usati dagli antichi veneti, successivamente sono diventati i santuari della mitologia latina per perdurare, in alcuni casi, addirittura fino all’età cristiana trasformandosi, forse, nella titolazione, Reitia-Maia-Maria, ma mantenendosi saldi come luoghi dell’auspicio per l’abbondanza.
Il mondo antico era rurale, legato alla terra, e la vita ai suoi frutti come “il frutto del ventre tuo, Gesù”, nell’Ave Maria, diventa termine di dipendenza per il popolo cristiano. In origine il ventre, invece, era proprio quello della terra e dalla sua abbondanza dipendevano la vita degli uomini e degli animali impiegati nel lavoro di tutti i giorni. Il concetto di fertilità chiama in causa per antonomasia la donna, ed erano appunto le donne a farsi carico del rito per ingraziarsi la benevolenza della Terra, in forma di prosperità, fin dal primo momento in cui riprendeva la primavera e il lavoro della campagna.
Processioni, fioretti, novene facevano parte del rito pagano come oggi fanno parte di quello cristiano
Anche i riti sono rimasti più o meno quelli, l’invocazione alla Madre, sia essa la Terra, l’abbondanza o la Vergine mamma di Gesù, le processioni fanno parte del rito, anche perché i luoghi di culto erano quasi sempre in campagna (essendo tutelari della campagna) come pure l’oggetto dell’offerta: candele votive (simbolo della vita), giaculatorie, novene, fioretti e nelle aree rurali canti e balli perché qui l’eredità pagana ha travalicato le religioni radicandosi saldamente nel folklore.
Il Calendimaggio o Cantar maggio ancora oggi è una ricorrenza viva, una festa per salutare l’arrivo della bella stagione
Il Calendimaggio o Cantar maggio ancora oggi è una ricorrenza viva, una festa per salutare l’arrivo della bella stagione, ma non è l’unico. Almeno fino alla metà del secolo scorso, il periodo della mezza primavera era ricco di riti, usanze consuetudini che spaziavano dalla piantumazione di un albero verde, l’albero de maio, che rappresentava la forza della nuova vegetazione, a el mariazo, che celebrava con la sposa del maio la fertilità della terra madre, fino a la lode delle putele, la tradizione di contrassegnare con rami o altri simboli di lode le porte delle ragazze da maritare con rispondenze precise nei rituali romani dove i giovani maschi preparavano i “magi” da offrire alle ragazze prescelte che ricevevano dolci, ciambelle, confetti, fiori, rami d’albero impreziositi con nastri e fiori. I rami d’albero significavano messaggi amorosi cifrati e dichiarazioni d’amore come il “ciliegio-saresara”- “morosa cara”, pioppo “morosa propria” “susino-amolaro” “moroso caro”, mentre le ragazze considerate poco serie, brutte o antipatiche ricevevano regali sgraditi. Il maggio della ritualità nuziale è sempre da collegare al desiderio e quindi all’auspicio di fertilità, di prosperità e di abbondanza come richiamato nel celebre canto della tradizione popolare “Cossa gala magnà la sposa”. E’ su questo rituale di gioia e di abbondanza che si innestano anche le feste e le sagre paesane, sia come momento di scambio e vendita delle prime primizie di stagione: asparagi, piselli, ciliegie, fragole ma anche come momento del ritorno alla vita sociale e dunque alla socialità.