Con l’acqua non si “lavano” le coscienze

La crisi idrica che ci ha colpiti durante i mesi estivi apre alla necessità di una riflessione non demagogica sul nostro futuro. Non basterà adottare una nuova tecnologia, dovremmo cambiare stile di vita
La stagione agricola che sta per concludersi è stata caratterizzata da un’assenza: quella delle piogge. Le colture hanno sofferto per mesi la penuria di acqua e solo nelle prossime settimane si riuscirà a fare una stima di quanto, in termini economici e speriamo non solo in quelli, ci sono costati questi mesi in cui i fiumi si sono ridotti a rivoli, tanto da rischiare non solo il contingentamento della risorsa per scopi irrigui, ma anche per il consumo umano. Già che in più occasioni si sia sfiorato la possibilità di non beneficiare dell’acqua è un fatto paradossale, soprattutto in un territorio come il nostro in cui il problema semmai è sempre stato l’opposto: ossia l’eccessiva presenza di acqua. Basterebbe tornare indietro di qualche decina d’anni per renderci conto che le più grandi opere realizzate sono state quelle di bonifica. Una lotta titanica che dal Medioevo ha impegnato uomini, animali, idee e risorse nel trovare un equilibrio tra terra e acqua.
La realizzazione di questi interventi convenzionalmente le attribuiamo ai Frati Benedettini, ai Veneziani, ai Consorzi di Bonifica, secondo le epoche di intervento, ma tuttavia gli autori sarebbero da ricercarsi tra i nostri avi. Ognuno di noi ha avuto in famiglia un nonno o un bisnonno “scariolante”. Ecco: il badile e la cariola ce le ha messe lui, insieme alla fatica e ad disagio di affrontare per necessità un lavoro veramente disumano. Altro che il “lerì – lerà” del celebre stornello. Per i nostri antenati braccianti i periodi senza lavori in campagna venivano “coperti” con la disponibilità a farsi cooptare in questi appalti che fino alla fine dell’800 interessarono le Basse – tanto del mantovano, come del ferrarese, del Polesine o del veronese – per la realizzazione di una eccezionale rete di canali che permise di convogliare l’acqua al mare, asciugando i terreni. La bonifica è storia di famiglia, e forse proprio perché di acqua siamo sempre stati abituati ad averne tanta in casa, abbiamo lasciato mano libera anche a chi la “distrutta”, inquinandola, avvelenandola, mortificandola, rendendola inservibile. Le note vicende sui Pfas sono recenti, anche se il male dell’inquinamento dei nostri fiumi è vecchio quanto la rivoluzione economica che portò i nostri contadini a farsi imprenditori – “gli alacri veneti” – alla guida della “locomotiva” del Nord Est.
Le mancate manutenzioni alla rete acquedottistica costano una dispersione d’acqua pari al 40% in Italia
Tutti cerchiamo i responsabili: chi punta l’indice contro l’agricoltura come maggior consumatrice di acqua dolce, chi chiama in causa l’industria e gli insediamenti produttivi. Potremmo trascorrere i prossimi anni a cercare chi l’ha sprecata, chi l’ha inquinata, e forse qualche nome lo troveremo, ma troveremo mai i responsabili di quella mancate manutenzioni alla rete acquedottistica che all’Italia costano il 40% di dispersione idrica? Acqua, ben inteso, depurata, filtrata e resa potabile per il consumo di tutti. O troveremo quelli di coloro che si allacciano abusivamente alla condotta come vampiri alle vene delle loro vittime? O di chi ritiene che l’acqua viene fatta pagare troppo poco e quindi la si percepisce come una risorsa di scarso valore? Ma dobbiamo necessariamente dare un valore economico alle “risorse” perché vengano ritenuti tali? Non c’è un valore culturale da considerare prima? Un valore ambientale strettamente legato alla nostra sopravvivenza? No l’acqua deve rimanere “una storia di famiglia”, appunto perché parliamo di vita e ci deve responsabilizzare tutti. Aria e acqua non sono merci, sono risorse che vanno difese, anche dai luoghi comuni e dalle analisi superficiali che con troppa disinvoltura individuano mostri e responsabili che come effetto portano al risultato di sollevarci da un impegno che è di tutti. Di “chiamarci” fuori, ma con l’acqua non si “lavano” le coscienze.
Siamo sempre stati abituati ad una grande disponibilità d’acqua, tanto da permettere a qualcuno di inquinarla e avvelenarla

Le piante per crescere hanno bisogno di CO2 + H2O + energia solare: in questo modo trasformano il gas serra in zuccheri e cellulosa. Per fotosintetizzare, la pianta ha bisogno di aprire gli stomi e far entrare aria e CO2, facendo invece uscire il vapore acqueo. Con temperature alte l’unico meccanismo di difesa che hanno le piante è quello di chiudere gli stomi per trattenere la maggior quantità d’acqua possibile. Una pianta al sole può raggiungere 50°C: per questo le piante vanno irrigate in maniera regolare e bisogna ridurre l’irraggiamento solare
E’ diffusa l’idea che l’agricoltura e gli allevamenti siano i maggiori responsabili nel consumo di acqua – cosa del resto vera – ma se guardiamo la tabella relativa ai consumi mondiali (inserita nel numero 22 di Con i piedi per terra) vediamo che, dopo gli statunitensi, come consumo procapite in metri cubi/anno, veniamo noi italiani. Certo consumo non è spreco, ma in questi valori sicuramente è nascosto un uso non “fisiologico” legato alla vita. Le piante, le alghe, e molti altri vegetali per crescere hanno bisogno di CO2 + H2O + energia solare: in questo modo trasformano il gas serra in zuccheri e cellulosa (a noi tanto cari). Senza acqua le piante non crescono: non crescono gli alberi di città che danno tanto ristoro dalla calura; non crescono il mais, il grano, il riso, la vite, il prato e qualsiasi altra cosa verde. Per fotosintetizzare, la pianta ha bisogno di aprire gli stomi e far entrare aria e CO2, facendo invece uscire il vapore acqueo. Ora, con temperature così alte, l’unico meccanismo di difesa che hanno le piante (dato che non possono scappare al mare o in montagna come noi!) è quello di chiudere gli stomi per trattenere la maggior quantità d’acqua possibile. Una pianta al sole può raggiungere 50°C: per questo le piante vanno irrigate in maniera regolare e bisogna ridurre l’irraggiamento solare. Inveire contro gli agricoltori che irrigano i campi per l’acqua che impiegano, è una forma di ignoranza.
Purtroppo dobbiamo abituarci a registrare continui aumenti di temperatura, cambiamenti nella distribuzione delle piogge e periodi di siccità. Cambiamenti le cui risposte non potranno essere trovate solo nell’impiego di un’altra tecnologia. Non basterà cambiare le fonti energetiche, avere auto elettriche, impianti fotovoltaici, eolici: dovremmo cambiare stile di vita. Ognuno di noi dovrà rivedere le proprie abitudini, anche dentro casa, e forse dovrà rivedere anche alcune sue convinzioni. Recenti studi stanno prendendo in esame, oltre agli strumenti di contrasto o di convivenza con le future siccità che abbiamo imparato a conoscere: come l’agricoltura di precisione o le irrigazioni mirate, lo studio della genetica per ottenere piante che crescano anche in mancanza di acqua. Quest’ultimo argomento implica una libertà di ricerca che in Italia ci siamo preclusi, ovvero le applicazioni dell’editing genetico (conosciute come TeA) per lo studio e la creazione di piante maggiormente resilienti ovvero resistenti alla siccità, al tenore salino, al calore: in altre parole, OGM (organismi geneticamente modificati). Occorre contrastare l’avanzare di pericolose ideologie per non ripetere gli errori madornali causati da scelte scellerate e poco ponderate come successo in Sri Lanka, dove il governo ha imposto di convertire tutta l’agricoltura della nazione al metodo biologico vietando, dalla sera alla mattina, l’importazione di fertilizzanti e antiparassitari. Con quale risultato? La popolazione è in rivolta e il presidente è in fuga. La scelta del biologico per sfamare una popolazione come quella dello Sri Lanka è stata una pazzia: tale metodo, oltre che costoso, non garantisce un’adeguata produzione per ettaro, mettendo alla fame migliaia di famiglie. L’esempio dello Sri Lanka costituisce un precedente importante nel discorso che ho affrontato in queste righe, perché dimostra che il futuro della nostra specie non dipenderà da scelte demagogiche, ma dalla capacità di considerare davvero tutte quelle opportunità che finora sono state trascurate, compreso mettere in discussione l’idea che abbiamo dello sviluppo.