Valnogaredo storia di luoghi, di uomini e di un oleificio

“Valnogaredo, è terra d’olio extra vergine d’oliva DOP, ma è pure un borgo con tracce di preistoria e remote rovine, una Chiesa Settecentesca, dove giace un Santo papa, e una stupenda villa gentilizia”
E’ Paolo Barbiero che racconta, un frantoiano di seconda generazione e olivicoltore. Paolo è un entusiasta della sua terra ed è pure una “dotta guida”, capace di condurti nei suoi Colli tra verdi pendii, piccole strade che, come in una ragnatela, disegnano una natura da secoli addomesticata dal lavoro agricolo. Paolo ti fa notare che le sommità dei colli circoscrivono tutto, quasi un hortus conclusus, ma se alzi lo sguardo, l’occhio corre in un orizzonte lontano, in una lunghissima pianura, che si chiude in bianchi vapori.
Il centro di Valnogaredo è la Chiesa, costruita nel 1758 da Angelo e Giulio Contarini, è in stile barocco veneziano e, dal 1921, è monumento nazionale, dedicata a San Bartolomeo, uno dei dodici apostoli. Al suo interno conserva una reliquia un po’ particolare, si tratta delle spoglie di un papa: San Adeodato, sessantottesimo Pontefice nella storia della chiesa cristiana.

Sotto l’Altare Maggiore della chiesa di San Bartolomeo, giacciono le spoglie di un santo dimenticato. Si tratta di san Papa Adeodato I le cui spoglie furono donate nella seconda metà del XVII da Papa Innocenzo XII a Domenico Contarini, affinché la sacra Presenza tutelasse le persone e i luoghi vicini alla nobile famiglia veneziana.
Poco lontano, sorge la settecentesca e splendida Villa Contarini, elegante sontuosa nell’architettura, ma sono gli aspetti più rustici che spesso raccolgono la storia del territorio. Nella “barchessa”, ad esempio, operava un antico frantoio, con le molazze che giravano spinte da animali e schiacciavano le olive, che erano poi poste in sacchi di canapa, i fiscoli, per essere pressate nel torchio e ricavarne un liquido che, raccolto in una grande vasca di pietra, veniva lasciato a “riposare” per far affiorare l’olio.
A fine Ottocento gli animali che facevano girare queste macine furono sostituiti da una macchina a vapore, che fu attiva per oltre cinquant’anni.
Se alzi lo sguardo, l’occhio corre in un orizzonte lontano, in una lunghissima pianura, che si chiude in bianchi vapori
Con orgoglio Paolo svela che proprio lì il suo papà, Oreste, aveva appreso l’arte di fare l’olio d’oliva e divenne il “capo frantoiano”, una funzione che richiedeva conoscenze e forte personalità, per guidare i collaboratori e gestire i conferimenti delle olive.
Negli anni Quaranta, quando l’energia elettrica entrò a pieno titolo come forza motrice, la macchina a vapore fu sostituita e s’inserirono nuovi macchinari.
Oreste fu l’anima di questo cambiamento e gestì la produzione dell’olio ancora per anni.
Le conseguenze del secondo conflitto mondiale cambiarono le condizioni economiche e sociali, e anche per il frantoio di Villa Contarini era giunto il momento di riorganizzarsi.
Era il 1958 e l’Italia raggiungeva il “boom economico”, così Oreste valutò di gestire in proprio l’antico frantoio, ma l’’idea si poté concretizzare solo nel 1960, con l’acquistò degli impianti dai conti Rota, al tempo proprietari della villa, e si trovò così a vivere quello che proprio in quell’anno Domenico Modugno cantava: “Penso che un sogno così non ritorni mai più”.
Oreste affrontò la nuova responsabilità con animo sereno, avendo il pieno appoggio degli operai che già lavoravano in frantoio, in particolare di Carisio Mutta, che gestiva il ricevimento delle olive da parte degli olivicoltori e riconsegnava l’olio spremuto in funzione delle rese ottenute, persona di massima fiducia, sia per Oreste e sia per gli olivicoltori.
Sul Monte Brecale sul “Monte Resino” gli oliveti hanno bordure di frassini e di roverelle. Dal terreno, sbucano iris, papaveri e ginestre
Per Oreste iniziò una nuova avventura, armato d’ingegno e passione, mantenne l’oleificio all’interno della Villa Contarini, perfezionò ogni fase della filiera produttiva, rinnovò i locali, inserì nuovi strumenti di molitura e imbottigliamento.
Oreste vendeva i suoi oli soprattutto a quelle famiglie che sceglievano con cura i cibi e che cercavano di renderli più saporiti con oli di qualità e del territorio.
Nel tempo, innovazione dopo innovazione, Oreste trasmise al figlio Paolo l’arte del frantoiano, a iniziare dalla cura nella raccolta delle olive, nel valutare la loro sanità, il grado di maturazione, le differenze tra le diverse varietà.

Paolo Barbiero
Oreste insegnò anche i segreti del territorio, dove la pianta d’olivo attecchisce meglio, dove le giaciture, le esposizioni dei terreni, le loro tante nature, calcaree, argillose, con affioranti trachiti, i tanti microclimi conferivano agli oli aromi e profumi più delicati, o più decisi, ed erano questi legami che creavano oli di altissime qualità.
Le colline dei Colli Euganei sono territori difficili da capire, prima perché sono molto orgogliosi, per loro bellezza e per la loro capacità di produrre, tanto che si fanno chiamare “Monti”, ma Paolo acquisì la loro fiducia e iniziò a coltivare olivi sul “Monte Brecale”, dal terreno lavico, e sul “Monte Resino” dove le radici delle piante poggiano sul pietrisco di Rosso Ammonitico e Biancone. Due terreni fecondi, dove gli oliveti ora hanno bordure di frassini e di roverelle e, dal terreno, sbucano iris, papaveri, minuscoli fiori della ginestra, denti di cane.

Olive della cultivar Rasara
Da qui Paolo raccoglie le olive della varietà “Rasara”, la più antica e tipica dei Colli, che da oli di un’eccezionale qualità, mediamente fruttati, con note vegetali, leggermente piccanti e amari, riconosciuti dalla Comunità Europea come oli a Denominazione d’Origine Protetta, DOP. Nel lavoro in frantoio, a Paolo si accostò Pierangela, la moglie, nondimeno la nipote di nonno Carisio, tanto che Gianni Rodari ne avrebbe tratto una fiaba dal tono:
“ … ma si, sono io, Carisio, che ero con Oreste, mi confondevo nel raccontare le favole a Pierangela, ma Le insegnavo a far bene l’olio, va bene, ora torno a leggere il giornale .. ”
Paolo e Pierangela hanno costruito un nuovo frantoio, con macchine a ciclo continuo, a estrazione a freddo e fusti d’acciaio inox per contenere gli oli, con all’interno l’azoto, un gas inerte, che limita il contatto del prodotto con l’ossigeno dell’aria, proteggendone così le caratteristiche di qualità.
In quest’operosità Paolo e Pierangela hanno “coniugato” la cultura della terra e il desiderio del buon cibo e, considerando che l’olio è pure bellezza, hanno una linea di cosmesi molto apprezzata, dove si utilizzano le proprietà benefiche delle sostanze contenute nell’olio.
Come fece Oreste, anche Paolo sta trasmettendo al figlio Filippo i “segreti” del mestiere di frantoiano per aggiungere un’altra generazione e un futuro a questa lunga storia.
Questo articolo è stato scritto da Enzo Gambin