Colli Euganei, “paradiso che muore di lebbra”

La tutela del paesaggio è un tema che appassiona il territorio da decenni, tuttavia il costante attacco al quale è sottoposto il patrimonio naturale e architettonico forse dimostra che siamo lontani dall’intendere la vera importanza che esso rappresenta
Fra le grandi conquiste ottenute a favore del nostro territorio va indubbiamente annoverata l’istituzione del Parco Regionale dei Colli Euganei, avvenuta nel 1989 e frutto di intense battaglie civiche ed umane. Non sarebbe oggi possibile fruire della bellezza naturale dei Colli Euganei senza la legge che ne ha consentito la sopravvivenza fisica: una formula burocratica in apparenza, la Legge 29 novembre 1971, n. 1097 (“legge Romanato”), calata in un’Italia ancora ubriacata dal “miracolo economico” del dopoguerra e quasi del tutto insensibile ai problemi ambientali e di tutela e conservazione del patrimonio storico-artistico. Il Veneto “agro” finalmente non era più una regione di povera gente costretta all’emigrazione, ma una delle zone più ricche ed industrializzate del Paese: il fiume di benessere si era sovrapposto alle famose radici – oggi strumentalmente invocate a scopo elettorale -, cancellando almeno in superficie la fisionomia di un’unità geografica e culturale. Non è quindi cosa di poco conto, in quel clima di inizio anni 70, l’approvazione di un provvedimento – considerato la prima vera legge ecologica varata dal Parlamento italiano – poco sintonizzato con la crescente società dei consumi e coraggiosamente in contrasto con la potente categoria dei cavatori: la legge speciale, presentata da Giuseppe Romanato (Democrazia Cristiana), stabiliva una decisiva serie di “norme per la tutela delle bellezze naturali ed ambientali e per le attività estrattive nel territorio dei Colli Euganei”, che portarono alla chiusura di più della metà delle settanta cave aperte, e la regolamentazione delle altre. Se si fosse continuato a scavare ai ritmi selvaggi degli anni precedenti al provvedimento, probabilmente ora non potremmo riconoscere le forme dei monti quali il Cero, o il Ricco e gli altri che costituiscono quel paesaggio davvero singolare, quasi “letterario”, amatissimo da poeti e autori di ogni tempo, come Percy Shelley che vi scrisse dei versi o Ugo Foscolo, che vi trovò ispirazione per la genesi delle Ultime Lettere di Jacopo Ortis nel 1789.
Dobbiamo a uomini intelligenti e vitali la salvezza (per quanto precaria) di un pezzo di Paese, uomini come Camillo Semenzato che già un decennio prima, nel 1961, aveva lanciato l’allarme presso la stampa, difendendo il valore dei Colli quale patrimonio comune, e non di quei pochi che li distruggevano per ragioni di profitto. Ma anche come quei gruppi di cittadini che nel 1968 diedero vita a Battaglia Terme al primo comitato in difesa dei Colli Euganei, le cui battaglie furono appassionatamente sostenute da giornalisti del calibro di Paolo Monelli, che “fotografava” la situazione dalla prestigiosa terza pagina del Corriere della Sera, ricordando ai politici che “i Colli Euganei non sono una bellezza provinciale; distruggerli, come si minaccia di fare, sarebbe come abbattere il Partenone o ridurre in briciole il Colosseo”; o ancora di Gigi Ghirott e Bruno Zevi che scrivevano, rispettivamente, nelle colonne Stampa e dell’Espresso. Il caso, rimbalzato sulla stampa nazionale, divenne dunque parte dell’opinione pubblica, secondo un processo fondamentale che portò prima alla legge del 1971, quindi all’istituzione del Parco nel 1989 ed infine all’approvazione del Piano Ambientale nel 1998. Accanto alla minaccia dell’industria estrattiva, vi era, e continua ad insistere, quella altrettanto aggressiva della speculazione edilizia, resa ancor più grave dall’assenza (che perdura tuttora) di un Piano Paesaggistico Regionale. Eppure l’utilità di questo strumento (peraltro obbligatorio per legge dal 2004) è evidente: non è più possibile ragionare intorno alla valorizzazione di un singolo bene culturale – monumentale, storico-artistico o quant’altro -, come se si trattasse di un fossile immerso nella contemporaneità, un oggetto isolato privo di relazioni con il contesto che lo circonda; è certo giunto il momento – pena la distruzione completa di un territorio segnato dalla storia e vocato alla vita – di considerare i beni collettivi nell’ottica di un piano di “conservazione programmata”, per usare il principio formulato da Giovanni Urbani, direttore dell’Istituto Centrale del Restauro fra il 1973 e 1983. La lezione di Urbani verte su un concetto fondamentale: il restauro di un singolo oggetto (si tratti di un palazzo come di un quadro) è pressoché inutile se non si tutela, in modo scientifico e programmato, l’ambiente che lo ospita; poco serve, ad esempio, pulire la facciata di un palazzo degradata dallo smog se non si inizia ad attuare una politica seria di regolazione dell’inquinamento, e dunque di riduzione di quello stesso smog che causa l’alterazione. Non serve trattare come una bella bomboniera il centro storico di una città se la sua periferia viene deformata da scempi edilizi e orripilanti cementificazioni. Questo è un discorso di grandissima attualità anche per i nostri Colli Euganei, luoghi di bellezza che sarebbe assurdo immaginare come un’isola separata dal più ampio contesto che li circonda.

Castello del Catajo
Il territorio dei Colli, interessante e apprezzato per l’aspetto “vago e pittoresco”, nonché per la singolarità geologica, vive in relazione a quella che è bello pensare come un’unità armoniosa, segnata dalla presenza del canale Battaglia e dai suoi castelli. Nel raggio di pochi chilometri si possono ammirare splendidi esempi di architettura fortificata, originariamente ideata per scopi difensivi, come è ad esempio il Castello Carrarese di Este, e ridefinita nei secoli successivi secondo nuovi canoni estetici e rinnovate funzioni, come è avvenuto nel caso del Castello Cini di Monselice, costituito da quattro nuclei databili fra XI e XV secolo. Vi è poi il Castello di San Pelagio di Due Carrare, ora sede del Museo dell’Aria, che vede la singolare combinazione della torre merlata di età medievale con il riadattamento tardo-settecentesco della parte abitativa, trasformata nella villa dei conti Zaborra. E ancora, presso Monticelli, il Castello di Lispida, sorto a fine Settecento su un antico complesso monastico e fatto costruire dai conti Corinaldi in stile neo-medievale. Di grandissimo pregio è poi il Castello del Catajo, a Battaglia Terme, costruito tra il 1570 e 1573 per volere di Pio Enea I degli Obizzi, su un progetto di Andrea da Valle e decorato all’interno dal validissimo Giambattista Zelotti, allievo di Paolo Veronese. Il maestoso edificio, caratterizzato dall’imponente fisionomia di una fortezza, fu poi ampliato e trasformato tra Sei e Settecento nella magnifica reggia ducale degli Este, per passare poi agli Asburgo. Requisito dal governo italiano dopo la Grande Guerra, viene messo all’asta e acquistato dai Dalla Francesca per essere infine rivenduto nel 2015 a Sergio Cervellin, che ne ha promosso il restauro (2016) e la valorizzazione con un programma di aperture e visite guidate. Considerate queste presenze d’eccezione sembra davvero illogica, oltreché anacronistica, la costruzione di un enorme centro commerciale all’uscita del casello autostradale di Terme Euganee, proprio davanti al Catajo: un’opera di arrogante deturpazione a svantaggio dell’intera collettività, e a favore – come accadeva con i cavatori degli anni 60 – di pochi. Opera che andrebbe ad intaccare la filiera del turismo di qualità in un Veneto sempre più devastato da “grandi opere” inutili, e che con la promessa di una manciata di “nuovi posti di lavoro” (non importa di che tipo, e se realmente qualificanti) va a danneggiare le attività commerciali del centro storico, la virtuosità di chi opera in armonia con il territorio, la bella immagine delle realtà circostanti, il Catajo in primis, ma anche, nondimeno, l’eccellente profilo della villa “La Mincana”. A che cosa serve, o meglio a chi serve la creazione di un “non luogo” come un centro commerciale nel bel verde della campagna carrarese? Serve allora riannodare il filo con il passato per dare un senso al presente, e recuperare il coraggio di quegli uomini intelligenti e vitali che hanno salvato la prima volta i Colli Euganei, dando prova di esemplare impegno civico. Per sottrarre a un ingiusto destino questo territorio, o per dirla con Paolo Monelli, “questo paradiso che muore di lebbra”.
Foto di Battaglia Terme Storia