Villa e vita in campagna, nei cicli pittorici veneti

Giandomenico Tiepolo (1727-1804) dipinge le sue scene campestri nella Foresteria di villa Valmarana ai Nani a Vicenza, vicino a quelle di matrice più mitologica-allegorica del padre Giambattista. Queste scene sono importanti per la poetica che vi è sottesa, volta a conferire dignità e importanza a soggetti ‘umili’
Sono diverse e portano la firma degli artisti più autorevoli del loro tempo le scene di vita bucolica all’interno dei grandi saloni di residenze aristocratiche. Alcuni esempi sono quelli lasciati dai Tiepolo a Villa Valmarana ai Nani, dal Veronese a villa Barbaro di Maser e Andrea Urbani a villa Grimani Vendramin Calergi a Noventa Padovana
Nell’uso comune la parola “villa” è associata all’idea del lusso e della ricchezza: si pensa a un’abitazione elegantemente arredata, immersa nel verde di un armonioso giardino o di un romantico parco, situata in campagna o anche zone urbane, sempre in contesti di grande pregio paesaggistico. Di fatto la villa è una realtà multiforme, che ha conosciuto evoluzioni nel corso del tempo, mutando fisionomia e funzioni. Già al tempo dei Romani esistevano due tipologie fondamentali: vi era in primis la villa ‘rustica’, la casa di campagna che funzionava come una vera e propria fattoria, destinata dunque alla produzione agricola ma anche all’otium, ossia il tempo del riposo, distinto dal tempo del negotium, e dunque del lavoro e del frenetico ritmo della città; la duplice destinazione si rispecchiava nella stessa divisione planimetrica, che vedeva da un lato la pars massaricia, abitata dalla servitù e riservata alla lavorazione dei prodotti, e dall’altro la pars dominica, la zona residenziale di pertinenza del padrone. Vi era poi la seconda tipologia della villa ‘urbana’, più facilmente raggiungibile dalla città e caratterizzata da una struttura monumentale. Dotata di ogni comodità, fungeva da segno del prestigio del proprietario, ed era spesso corredata da ampi spazi quali complessi termali, biblioteche, teatri: la magnifica residenza imperiale di Villa Adriana a Tivoli ne è forse il più significativo, insieme alla Domus Aurea di Nerone e alla Villa del Casale di Piazza Armerina in Sicilia.
Leon Battista Alberti (1404-1472), il grandissimo architetto ed erudito che si rese protagonista di quel pieno recupero della cultura classica. A lui va ascritta la riscoperta, tramite lo studio di Vitruvio, della villa suburbana quale luogo ameno di quiete e riposo, circondato dal verde
Leon Battista Alberti (1404-1472), il grandissimo architetto ed erudito che si rese protagonista di quel pieno recupero della cultura classica. A lui va ascritta la riscoperta, tramite lo studio di Vitruvio, della villa suburbana quale luogo ameno di quiete e riposo, circondato dal verde
Un altro momento d’oro per la villa è quello del Rinascimento, grazie alla figura di Leon Battista Alberti (1404-1472), il grandissimo architetto ed erudito che si rese protagonista di quel pieno recupero della cultura classica, dopo la ‘decadenza’ medievale (che poi decadenza non fu), creando un ponte verso la cultura ‘moderna’: a lui va ascritta la riscoperta, tramite lo studio di Vitruvio, della villa suburbana quale luogo ameno di quiete e riposo, circondato dal verde. Presto la novità si diffuse nell’Italia centrale e oltre, presso le principali corti e città, da villa Medici a Fiesole (prototipo delle ville medicee, caratterizzate dalla totale vocazione all’otium) a villa Madama a Roma, ideata da Raffaello (1483-1520) e portata a termine da Giulio Romano (1499 ca-1546), solo per citare due fra i più notevoli esempi. La ‘moda’ non manca di toccare anche il Veneto, che sviluppa una sua peculiare tipologia, messa a punto da Andrea Palladio (1508-1580), che si distingue dalle ville centro-italiane per la doppia funzione: la villa veneta è infatti luogo dello svago, ma anche centro di produzione agricola, vero e proprio motore economico, a partire dalla conquista veneziana della Terraferma a inizio ’400, e dal progressivo spostamento degli interessi dei nobili veneziani dal mare alla terra. La ‘moda’ si trasformerà così nei secoli in un elemento connotativo del territorio, proprio perché prevalentemente agricolo e segnato da importantissime azioni di bonifica, fino a diventare quella peculiare realtà nota come “civiltà della villa veneta”.
Accanto alla ‘pittura alta’ di carattere mitologico-allegorico trovano spazio rappresentazioni legate al tema della caccia, delle stagioni che scandiscono il ritmo della vita e, in alcuni casi, scene di vita campestre dal sapore popolare
Considerata dunque la ‘doppia vocazione’ economica-produttiva e di svago della villa veneta non dobbiamo stupirci di alcune precise scelte iconografiche, presenti nei cicli che decorano numerosi complessi: prevalgono infatti, accanto alla ‘pittura alta’ di carattere mitologico-allegorico, rappresentazioni legate al tema della caccia, delle stagioni che scandiscono il ritmo della vita e, in alcuni casi, scene di vita campestre, dal sapore popolare. Fra queste ultime celebri sono certo quelle di Giandomenico Tiepolo (1727-1804) nella Foresteria di villa Valmarana ai Nani a Vicenza, importanti per la poetica che vi è sottesa, volta a conferire dignità e importanza a soggetti ‘umili’, a siglare la svolta dei tempi.
A preparare il terreno per la novità tiepolesca vi è tutta una tradizione iconografica veneta mirata a esaltare le valenze poetiche del paesaggio rurale e dei suoi protagonisti: non solo nei fondali delle scene mitologiche diffusissime nelle decorazioni di villa, ma anche nei casi in cui il soggetto non è una narrazione: lo si vede ad esempio nei paesaggi fluviali, con tanto di mulino, a villa Godi a Lugo di Vicenza, realizzati a metà ‘500 da Gualtiero Padovano (1510 ca-1552); o in quelli di Lambert Sustris (1515 ca-1584 ca) in villa dei Vescovi a Luvigliano, dove spicca il grosso putto paffuto che mangia l’uva. Per non parlare delle suggestive aperture paesaggistiche di Paolo Veronese (1528-1588) nella famosissima stanza del Cane in villa Barbaro a Maser; o ancora, sempre in ambito veronesiano, l’opera della bottega in villa Loredan a Sant’Urbano – incantevole complesso di proprietà dell’Istituto delle Ville Venete e messo ormai in vendita – dove nella sala dei Paesaggi si possono ammirare – e si spera di poterle continuare ad ammirare nel futuro – rasserenanti scene di vita agreste.
Andrea Urbani, (1711-1798) ebbe una formazione pittorica affine a quella degli altri pittori-scenografi veneti, suggestionati dall’arte di Giambattista Tiepolo e dai paesisti settecenteschi. La sua produzione è spesso caratterizzata da delicati scorci campestri, capricciose vedute, dove sono miscelate realtà e finzione fantastica con eleganza e rigore prospettico
Nel corso del tempo il concetto si sviluppa in modo sempre più raffinato: nelle stesse scene di Giandomenico Tiepolo alla Valmarana si nota un ricercato equilibrio tra lo stile naturale notato da Goethe e la forma idealizzante di una sorta di arcadia contemporanea. Proprio nella sala delle Scene Campestri sembra esser stato presente, per la realizzazione della cornice naturale degli alberi, Andrea Urbani (1711-1798), maestro poco studiato ma di notevole caratura. Egli infatti saprà cogliere il brio e la freschezza dei Tiepolo, traducendone le istanze in uno stile del tutto personale: fra i suoi capolavori va annoverata la decorazione (1766-1770) di villa Grimani Vendramin Calergi a Noventa Padovana.
In epoca medioevale villa Calergi era un possente fortilizio di proprietà della ricca famiglia padovana dei Dalesmanini. Venne poi radicalmente trasformato nei secoli successivi, fino ad assumere l’elegante fisionomia di villa settecentesca, che ancora conserva. La residenza passò infatti nel ’400 prima ai Contarini e poi ai Grimani, entrambe nobili famiglie veneziane; fu poi dei Vendramin Calergi: l’ultima erede Elena Marina Maria (1807-1894), andata in sposa ad Andrea Valmarana (1788-1861) da cui non ebbe prole, lasciò la villa al Comune di Noventa. In questa villa Andrea Urbani lasciò il suo più grande ciclo di affreschi
La villa, collocata in una terra di bonifica – il nome stesso di Noventa si pensa possa significare “terra di recente messa a colutura” – e in un punto strategico in connessione con la via d’acqua del Brenta, oggi non più percepibile, a seguito degli interventi succedutisi nel corso dei secoli: sorgeva infatti sul fortilicium della ricca famiglia padovana dei Dalesmanini, lo stesso che ospitò, a quanto pare, Isabella d’Inghilterra consorte di Federico II Barbarossa, nell’inverno del 1237-1238, e radicalmente trasformato nei secoli successivi, fino ad assumere l’elegante fisionomia di villa settecentesca, che ancora conserva. La residenza passò infatti nel ’400 prima ai Contarini e poi ai Grimani, entrambe nobili famiglie veneziane; fu poi dei Vendramin Calergi: l’ultima erede Elena Marina Maria (1807-1894), andata in sposa ad Andrea Valmarana (1788-1861) da cui non ebbe prole, lasciò la villa al Comune di Noventa, con la condizione che venisse trasformata in una Fondazione destinata all’educazione di ragazze sordomute; divenne così l’Opera Pia Fondazione Vendramin Calergi Valmarana attiva come Ipab fino al 2016, quando l’ente è stato sciolto e la villa è tornata a disposizione del Comune: uno spazio tutto da decidere.
L’interno di villa Calergi, di Noventa Padovana, impreziosito dagli affreschi di Andrea Urbani
Di certo è ancora un piacere camminare fra le ariose stanze dell’edificio, affrescate dai dipinti di Urbani che, quasi rispondendo puntualmente alle invenzioni dei Tiepolo alla vicentina Valmarana ai Nani, lasciò qui il suo più grande ciclo di affreschi. Qui, nel salone del piano nobile possiamo ancora ammirare le monumentali aperture con vedute di paesaggi e architetture, dal tono pacato e quasi rarefatto, in sintonia con le vedute, se pure più intime ed armoniose, della stanza della Pittura, o ancora con gli sfondati con vedute di giardini nella curiosa stanza Cinese, ambiente che asseconda il gusto del tempo per le ‘cineserie’ e che più di tutti ci riporta all’esempio vicentino dei Tiepolo, rielaborato secondo quella variazione di registro, oscillante tra il codice sontuoso della quadratura e la vena leggera della fantasia, cifra stilistica del grande artista veneziano ancora in parte da riscoprire.