“Ero e Leandro” storia d’amore firmata da un artista fieramente rodigino

Poco conosciuto ai più, Francesco Xanto Avelli, fu uno dei grandi interpreti del Rinascimento. Nelle sue opere non trascurava mai di inserire la sua firma e di ricordare la sua provenienza: Rovigo
Rodigino o rovigoto? Lui si firmava “rovigiese”. In questo modo Francesco Xanto Avelli intese sottolineare il suo legame affettivo con la città di Rovigo, dove probabilmente nacque. Non sono note molte notizie relative alla nascita e alla morte dell’artista: di certo si sa che nella prima metà del Cinquecento lavorò ad Urbino, al tempo del duce Francesco Maria della Rovere e con le sue opere, anche dopo la morte, ha contribuito a diffondere il nome del capoluogo polesano nel mondo. Pittore di piatti, coppe e piastre, ha realizzato opere che oggi sono conservate presso i musei di tutto il mondo, da Boston a Melbourne, e ne danno testimonianza anche il museo del Louvre a Parigi, il British Museum di Londra, l’Ermitage di Sanpietroburgo, la National Gallery of Art di Washington e il Metropolitan Museum di New York e per arrivare più vicini a noi il Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo, dove il piatto di “Ero e Leandro” costituisce il pezzo forte della nuova sezione dedicata al Rinascimento.

Firma di Francesco Xanto Avelli sul retro del piatto con la rappresentazione di Ercole che uccide Caco e stemma (Ercole che strozza il Leone Nemeo). “.1531. Hercol(e) che Cacco co ba(s)toni u(c)cide. Virtù. Fra Xanto Avelli da Rovig(o) i(n) Urbi(no) pi(ns)e”. Museo internazionale delle ceramiche in Faenza.
Xanto è un artista per certi aspetti singolare: non era usuale in età rinascimentale che il pittore di maioliche firmasse il piatto decorato. Xanto è anche un artista colto, che trae ispirazione per le sue opere dai testi di autori latini, come Virgilio e Ovidio, e italiani, come Petrarca e Ariosto, oltre che dalla Bibbia. Proprio dai versi delle “Heroides” di Ovidio egli sembra aver tratto lo spunto per la scena dipinta sul piatto realizzato nel 1540, quando era all’apice della sua carriera, ma allo stesso tempo l’iscrizione apposta sul retro è una citazione dei “Trionfi” di Petrarca: “Leandro in mare et Ero a la finestra” (Trionfo d’Amore, II, v. 21).
Una tragedia d’amore le cui cause sono la distanza e il “fato”
Il giovane Leandro è innamorato della bella Ero: li separa la stretto dell’Ellesponto ma tutte le notti lui nuota da Abido a Sesto – le due città si trovano sulle sponde opposte dello stesso braccio di mare – per raggiungere l’amata che lo aiuta ad orientarsi tenendo accesa una lanterna. Una notte di tempesta la fiamma si spegne e la mattina seguente la giovane donna trova il corpo dell’amato senza vita, disteso sulla spiaggia. Presa dal dolore Ero si suicida, gettandosi da una torre.
Anche il paesaggio partecipa alla scena e si unisce ai sentimenti
Ed è questo il momento che Xanto sceglie di rappresentare, quello carico della massima tensione. Sul bordo esterno dominano quattro figure: in basso il cadavere di Leandro con il volto immerso nell’acqua; in alto una disperata Ero che si getta dalla finestra; a destra un piccolo Eros, dio dell’amore, che ha gettato l’arco e le frecce e si tiene la testa fra le mani per la disperazione; a sinistra un gruppo di tre figure piangenti, che ricorda le scene del compianto di Cristo morto. La gestualità intensa si accompagna all’uso di colori vivaci: il giallo, il verde e soprattutto l’azzurro. L’acqua in primo piano sfuma nelle montagne che si stagliano sullo sfondo e svettano verso il cielo, ormai quasi del tutto sgombro di nubi.