Settembre è tornato ad essere il mese della vendemmia

In Veneto le uve raccolte provengono sempre più da coltivazioni biologiche, naturali, o resistenti come i Piwi
È quasi autunno e i vigneti sono tornati puntualmente a reclamare l’attenzione, quasi esclusiva, di chi lavora la campagna, come da migliaia d’anni accade in questi giorni. O meglio, accadeva: perché, complice l’annata atmosferica, nel 2021 la vendemmia è tornata davvero più o meno alle tempistiche di una volta, ovvero con inizio a settembre, dopo anni di continui anticipi quasi ferragostani per la raccolta delle prime uve a bacca bianca.Un tempo la vendemmia continuava poi fino a ottobre e per alcune uve, le più ritardatarie, anche a inizio novembre, quando l’attenzione era ormai concentrata sugli ulivi. Quest’anno, forse, magari in collina, si potrà trovare ancora qualche grappolo scuro in attesa di essere colto tra foglie ormai brune o rossicce. Per la gioia degli occhi e degli appassionati di fotografia.

Il 2021 è stata un’annata particolare. Si è arrivati alla fine di agosto con settimane asciutte e notti fresche, ventilate, e uve sane: l’ideale per portare a termine l’ultima maturazione dell’uva
La produzione media regionale dovrebbe raggiungere i 12,5 milioni di quintali contro i 14 milioni del 2020
L’annata del vino si prospetta poi anche soddisfacente, e questo nonostante un leggero calo della produzione media veneta stimabile fino al dieci per cento circa (la produzione di uva quest’anno dovrebbe arrivare a 12,5 milioni di quintali contro i 14 milioni nel 2020: dati Veneto Agricoltura). Certo, c’è da intendersi su cosa significhi “soddisfacente”: fino a pochi decenni fa il contadino era soddisfatto solo quando i grappoli erano tanti e gli acini fitti, oltre che pingui e sani. La quantità doveva essere notevole, la qualità non aveva lo stesso valore e importanza che assume oggi. D’altra parte, quando il cibo erano polenta e patate, quando si sapeva per prova provata che cosa era la fame, non si poteva andare troppo per il sottile. C’era, allora più che oggi, anche la consapevolezza che il vino era, ed è, un alimento, un cibo. Un complemento della dieta quotidiana: non un liquido e basta, come l’acqua – che tra l’altro, a quel tempo era spesso meno sana e sicura). Analogamente lo era la birra per i popoli nordici.
Quindi, si era contenti solo se i tini erano ricolmi.
Naturalmente anche i nostri avi erano in grado di distinguere il valore del vino in termini di gusto, sostanza e grado alcolico, e sapevano che questo si rifletteva anche sul prezzo del prodotto. Ma nel vino la qualità coincide quasi sempre con una drastica riduzione delle produzioni, e richiede condizioni che permettano di concentrare succhi e sostanze dell’acino in modo da avere prodotti profumati e strutturati. Questo passo lo si è potuto fare, nelle nostre campagne, solo quando i consumi pro capite hanno cominciato a calare e, dall’altra parte, i consumatori hanno iniziato a bere meno ma a richiedere qualità, dimostrandosi disposti a sostenerla pagando un po’ di più. A trainare questo cambio di tendenza è stato soprattutto l’export, ed eravamo ormai a fine anni Ottanta. Produrre meno ma meglio e guadagnare persino di più era diventata la parola d’ordine, che vale anche oggi.
Ci si aspetta una qualità di vini molto alta dalla vendemmia 2021, tuttavia è ancora presto per un bilancio
Ecco quindi che anche con un calo di produzione oggi l’annata può dirsi, nella media, soddisfacente. La qualità non è comunque solo questione di rese per ettaro, ci sono altri fattori come quelli atmosferici. E nel 2021 ci si aspetta una qualità tendente alle vette, almeno nel Veneto, regione in cui l’export di vino vale 2,24 miliardi di euro. Il tutto è frutto di un’annata originale, partita calda in marzo con un germogliamento precoce, poi arrestata da piogge e freddo che sembravano non terminare più – non temperature estreme, a parte alcune devastanti gelate che sono concausa del calo di produzione, ma per un periodo molto lungo – e un’estate calda e dalle poche precipitazioni – di nuovo, temperature non estreme, almeno nel Veneto, ma un caldo ininterrotto per un periodo inusualmente lungo. Si è arrivati quindi alla fine di agosto con settimane asciutte e notti fresche, ventilate, e uve sane: l’ideale per portare a termine l’ultima maturazione dell’uva, che è quella che determina la qualità finale.

Quest’anno si potrà trovare ancora qualche grappolo scuro in attesa di essere colto tra foglie ormai brune o rossicce. Per la gioia degli occhi e degli appassionati di fotografia.
Per dire se l’annata sarà di quelle in cui fare incetta di bottiglie, è ancora presto. I tecnici si rifanno ai dati dei manuali, confrontandoli con annate simili, e anche gli agricoltori rispolverano analogie con vendemmie precedenti: “Nel tale anno era successa la stessa cosa, e il vino era venuto particolarmente buono…” Tuttavia ci sono sempre fattori imprevisti, ogni annata non è mai uguale a un’altra, e da situazioni che sembrano simili possono venire fuori prodotti totalmente diversi: ecco perché se il nettare di Bacco sarà migliore o peggiore del precedente lo si scoprirà solo assaggiandolo, a tempo debito. La lavorazione, la maturazione in legno, cemento, acciaio o altro materiale, il tempo che passerà in bottiglia, faranno il resto.
L’attenzione alla qualità si riscontra anche nella tendenza, consolidata, alla crescita di vini biologici e naturali, come certificano i consorzi di tutela delle varie denominazioni: territori come il Valpolicella stanno facendo scuola, ma anche gli Euganei – che da qualche tempo sono un biodistretto – non sono da meno. Persino le zone storiche del Prosecco vedono crescere questo tipo di attenzione, seguendo di nuovo le richieste del mercato ma anche una maggiore sensibilità degli stessi produttori. Trovare un Prosecco bio, doc o docg, non è più una rarità.
Una voce importante della produzione riguarda l’export, in Veneto vale circa 2,24 miliardi di euro
Oggi c’è anche la ricerca di quei vitigni in grado di adattarsi meglio a un clima che sta cambiando, anche se magari sono meno noti di quelli “internazionali”. C’è chi prova con uve anticamente presenti in un luogo poi abbandonate, ma recuperate, privilegiando quelle capaci di maggiori rese, sperando che possano tornare protagoniste; c’è chi si affida ai “piwi”, i vitigni frutto di accurate selezioni e incroci e che sono altamente resistenti a certe malattie fungine, nonché meno esosi di acqua e di antiparassitari. L’uva è una coltivazione che richiede molta meno acqua rispetto, ad esempio, ai cereali: il vigneto è diventata anche un’opzione alternativa per risparmiare i prelievi del prezioso liquido lì dove ormai si consiglia di limitare le irrigazioni.
Anche di questo si deve tenere conto quando si degusta un buon calice. Prosit!