Piwi, i vitigni resistenti… saranno il futuro anche sugli Euganei?

Estati sempre più calde e siccitose hanno portato alla sperimentazione di nuovi vitigni anche sui colli Euganei. Garantiscono un impiego minore di fitofarmaci, rese migliori ma il sapore è diverso
Se ne parla ancora sottovoce, ma il brusio pian piano si alza. È quello sollevato dall’impiego in viticoltura di particolari vitigni, chiamati “resistenti”, frutto di ricerca e noti anche come Piwi: un nome che viene dal tedesco pilzwiderstandfähige. Significa “resistente ai funghi”, in primis Oidio e Peronospora, spauracchi dei viticultori. Si tratta di piante “ibride”, frutto di incroci particolari e selezionati, che hanno spesso anche altre caratteristiche ambite in vigna, come quelle di sopportare meglio il caldo, il freddo e la siccità.
La prima coltura di questi vitigni resistenti nella nostra regione data al 2014. Le loro uve, tuttavia, per legge non possono ancora essere impiegate nei vini Doc
Secondo Veneto Agricoltura, la prima coltura di questi vitigni nella nostra regione data al 2014: le loro uve, tuttavia, per legge non possono ancora essere impiegate nei vini Doc. Cominciano però a essere numerose le aziende che, dapprima come apripista e poi in maniera sempre più convinta, hanno iniziato a piantare barbatelle Piwi. Sui colli Euganei, nel 2016 ha iniziato la cantina Parco del Venda, seguita l’anno dopo da Bacco e Arianna, storica azienda a conduzione biologica: i titolari sono convinti assertori che questi vitigni possano essere la strada del futuro, anche per far fronte ai cambiamenti climatici. E così, nomi come Merlot Khorus, Cabernet Volos, Sauvignon Soreli e Kretos, cominciano a diffondersi…
Cosa sono queste uve Piwi? Si tratta niente altro che di incroci tra piante di vitis vinifera, l’uva da vino, e altre varietà come le americane Labrusca e Riparia, che possiedono caratteristiche particolari, ad esempio maggiore resistenza a funghi e malattie, o a condizioni atmosferiche estreme. A livello di ricerca operano in questo campo attivamente enti come la Fondazione Edmund Mach – Istituto Agrario San Michele all’Adige, l’Università di Udine e il CRA-Vit di Conegliano; a diffondere le barbatelle ci pensano i Vivai cooperativi di Rauscedo (Pordenone).
“La selezione delle piante resistenti – spiega sempre Veneto Agricoltura – segue uno schema abbastanza semplice: si fanno gli incroci, si ottengono le piantine da seme, le si mettono alla miglior esposizione al fungo e si selezionano solo le piantine resistenti che verranno poi valutate dal punto di vista enologico”.
Si tratta di processi che sia l’uomo che la natura fanno da millenni, e nel Veneto li conosciamo bene: ne sono esempi l’uva Isabella (o uva fragola), così come Clinton e Bacò, diffusisi nelle nostre campagne per contrastare le crisi produttive dell’800. Oggi la genetica aiuta ad abbreviare i tempi e a raggiungere risultati più mirati ed efficaci: questi vitigni “potenziati” sono presentati come un valido aiuto per i coltivatori, un baluardo ai cambiamenti climatici ma anche un sostegno alla salvaguardia ambientale, visto che promettono minore impiego di chimica in vigna.

Michael Toniolo di Parco del Venda, la sua azienda conta già circa quattro ettari di “vigneti resistenti”
“Alle viti resistenti – rivela Michael Toniolo di Parco del Venda, che ne ha circa quattro ettari – facciamo solo tre trattamenti all’anno, il numero consigliato dai tecnici, contro i tredici di media per gli altri vigneti. Abbiamo fatto una prova: piantando dei filari di cabernet normale accanto a quello resistente e facendo lo stesso numero minimo di trattamenti, le piante normali quest’anno hanno reso il 30 per cento di meno. Facendo meno trattamenti si ha anche un minore passaggio di mezzi pesanti in vigna, minori danni ai terreni, meno consumo di carburante e relativo inquinamento”.
Tra le caratteristiche di questi vitigni c’è anche una notevole precocità nella maturazione: si vendemmia un mese prima uva perfettamente matura, con una notevole riduzione dei rischi di produzione. “Il vero vantaggio per un produttore – continua Toniolo – secondo me non è tanto quello economico ma la tranquillità: poter fare pochi interventi e programmati, senza l’ansia di dover correre ai ripari ogni volta che piove perché potrebbe insorgere una malattia e perdere la produzione… questo, veramente, per me non ha prezzo”.

Emanuele Calaon di Bacco e Arianna, il prossimo autunno presenterà il suo primo Sauvignon Kretos
Per questi e altri motivi i Piwi sono una possibile soluzione verso una maggiore sostenibilità in viticoltura. Una alternativa, o forse un ausilio, al biologico? Sicuramente aiuta i coltivatori bio a ridurre i rischi di malattie e l’impiego di rame in vigna – unico baluardo chimico loro permesso dalla normativa – ma non tutti sono favorevoli a questa novità. Anche tra di loro, tuttavia, i Piwi si fanno strada, come dimostra la sperimentazione di Emanuele Calaon di Bacco e Arianna, che nel prossimo autunno presenterà il suo primo Sauvignon Kretos.
A livello di ricerca operano in questo campo enti come la Fondazione Edmund Mach – Istituto Agrario San Michele all’Adige, l’Università di Udine e il CRA-Vit di Conegliano
Pure tra gli appassionati degustatori si solleva qualche perplessità, poiché i Piwi portano i nomi di vitigni celeberrimi, ma il sapore finale può essere anche parecchio differente da quelli cui siamo abituati. Se un Merlot, un Cabernet o un Sauvignon, i vitigni che vanno per la maggiore, sono la base di partenza, l’inserimento di piccole percentuali delle altre piante è sufficiente a modificarne profumi e sapori, dando luogo a vini spesso fuori dagli schemi e con sentori meno fini e armonici al naso e al palato.

Tra le caratteristiche di questi vitigni c’è anche una notevole precocità nella maturazione: si vendemmia un mese prima uva perfettamente matura
Se tali note organolettiche spiazzano i bevitori più esperti, meno problemi sembrano però sollevare nel consumatore medio, non sempre in grado di apprezzare le differenze: e non a caso il mercato sembra premiarli. Gli aspetti di sostenibilità ambientale, su cui l’attenzione è destinata a crescere, potrebbero essere poi un’arma vincente presso il grande pubblico. Come costi, l’investimento dei produttori oggi è maggiore all’inizio, ma poi i risparmi sui fitofarmaci, le maggiori rese e i minori altri rischi dovrebbero permettere loro di recuperare agevolmente la spesa, e quindi di rimanere competitivi con i prezzi.
Per capire se i vitigni resistenti saranno un’alternativa al bio, è ancora presto. Se si affermeranno, lo deciderà il mercato. Intanto, quando li incontriamo, è il caso di iniziare ad assaggiarli.