“STANNO DIVORANDO I COLLI EUGANEI”

Sono passati cinquant’anni dalla Legge Romanato-Fracanzani che ha fermato l’attività estrattiva delle cave. Che cosa è davvero cambiato da allora?
Di Giada Zandonà
Un rombo di mine e lapilli. Il grido del colle portato dal vento giungeva ai colligiani indaffarati che non facevano più caso ai mugoli disperati della roccia. “Stanno divorando i Colli Euganei” urlava qualcuno, ma altri gridavano più forte “Con le cave il pane con il turismo la fame”. Dai primi del ‘900 una mutilazione sistematica e spietata avanzava nei Colli Euganei. I popoli antichi ben conoscevano i materiali preziosi custoditi al loro interno: trachite, scaglia, marna, pietra calcarea. “Materiali” da estrarre a mano e con fatica, per costruire meraviglie architettoniche, strumenti, strade e piazze.
Una guerra che aveva portato i Colli Euganei a sembrare un abito logorato, non dal tempo, ma dalle tarme dell’avidità
Ma arrivò il ‘900 e con lui la dinamite: la fame di profitti e di roccia. I colli cominciano a gridare, bucati nel cuore dalle perforatrici ad aria compressa. Le gobbe caddero al suolo, gli alberi fagocitati, i colli devono essere trasformati in laghi. “Credo sia la prima volta che si progetta la distruzione totale di un pezzo di Italia” scriveva il giornalista Paolo Bonelli nel 1968. Oltre 70 cave attive ed altrettanti buchi assaggiati ed abbandonati, una guerra che aveva portato i Colli Euganei a sembrare un abito logorato, non dal tempo, ma dalle tarme dell’avidità. E gli abitanti tacevano nella contrapposizione tra ambiente e lavoro “Per il verde dei colli non vogliamo rimanere al verde”, erano gli anni del boom economico e nessuno si preoccupava di tutelare quei dossi antichi. I colli erano una risorsa da sfruttare e l’attività estrattiva negli anni ’70 mostrava il suo peggior appetito, mentre al fianco del mutilato Monte Ricco a Monselice e tra le braccia del Monte Murale di Este operavano con sempre maggior produttività tre cementifici. Occupazione ed urbanizzazione. E tutto sembrava normale ai colligiani, ma una voce di protesta prima silenziosa e poi rombante più delle mine cominciava a farsi sentire.
LA LEGGE CHE HA SALVATO I COLLI

Il colle della Rocca di Monselice tra fine Ottocento e primi Novecento. Furono le cave di trachite a devastare torri, chiese e interi tratti di mura
Il 29 novembre 1971 è una data che è rimasta nella “storia colligiana”: segna il mezzo secolo dalla promulgazione della Legge n. 1097 la cosiddetta “Legge Romanato-Fracanzani” che ha davvero salvato i Colli Euganei. Che cosa ne sarebbe stato del paesaggio euganeo senza questo provvedimento? I turisti ed i residenti che paesaggio avrebbero scorto oggi, se non ci fosse stato l’impegno di tanti attivisti che hanno combattuto per salvaguardare le verdi emergenze? Un caso di buona politica, o meglio la presa di posizione di una piccola parte della popolazione che ha portato la vicenda sotto i riflettori nazionali ed ha evitato di scoprire quale destino sarebbe toccato ai verdi declivi. Oggi forse sarebbero apparsi spianati, smembrati, brandelli di scogli e non più di isole, sorte per un caso del destino 30 milioni di anni fa e perse per sempre in un mare di avida vergogna. Una densa pagina di storia locale che riporta al clima caldissimo degli anni ’60 in cui come scriveva Giulio Bresciani Alvarez di Italia Nostra “i problemi ambientali non sono di moda e nemmeno degli di particolare attenzione. Che atteggiamenti di insufficienza e di snobbismo, quanto isolamento ed incomprensione nei confronti di chi tentava di attirare l’attenzione sulla rovinosa situazione del nostro patrimonio naturale e culturale e sull’urgenza di darsi da fare per contenere questa rovina”.

Monselice. Il colle della Rocca devastato dalle cave
“Mai s’erano visti tanto accanimento e tanta furia distruttrice contro il proprio luogo di vita”
Queste parole rimandano ad un passato lontano o potrebbero essere pronunciate ancora oggi? Una domanda retorica se pensiamo alla questione del riscaldamento globale, una retorica che vale ancora per le verdi colline che non sono ancora sfuggite alle minacce dell’ignoranza. “Mai s’erano visti tanto accanimento e tanta furia distruttrice contro il proprio luogo di vita” continua Bresciani. L’opinione pubblica, spinta anche dalla fervente politica di allora, cominciò a smuoversi, e sul finire degli anni Sessanta cominciava la battaglia per la difesa del territorio. Aggressori e difensori scesero in piazza: il lavoro contro l’ambiente. Gli scontri si fecero aspri e violenti, come l’offesa perpetuata ai Colli. La vicenda arrivò nei giornali nazionali e la prestigiosa penna di Paolo Bonelli per il Corriere della Sera raccontò quanto stava accadendo in quel pezzo di Veneto. Nel 1968 il Consorzio per la valorizzazione dei Colli Euganei elaborò una prima proposta per arginare il fenomeno mettendo le prime basi per l’istituzione del Parco. Molte però sono state le vicende e soprattuto i freni anche da parte del Governo che si susseguirono prima di arrivare al 1971, per incontrare la sensibilità degli onorevoli Giuseppe Romanato e Carlo Fracanzani. Grazie al loro impegno, alimentato senza sosta dai Comitati e dei cittadini, viene promulgata la legge per fermare, ma solo sulla carta, l’attività estrattiva nei Colli. Dovettero trascorrere ancora due anni prima di metterci definitivamente “una pietra sopra”.
È CAMBIATO IL PAESAGGIO O LA SENSIBILITÁ?

Monselice, colle della Rocca. Una torre della cinta muraria ormai prossima alla completa distruzione. L’enormità delle devastazioni subite dal colle richiamò nel 1909 un sopralluogo del Consiglio Superiore di Belle Arti. Ne scaturì una misura di protezione solo per il mastio
Sono passati cinquant’anni dalla “Legge Romanato-Fracanzani”, un tempo considerevole che autorizza a chiedersi che cosa sia davvero cambiato. Voltarci indietro significa guardare da dove veniamo e chi vedrà le foto che corredano questo articolo per la prima volta sentirà stingersi il cuore dall’indignazione. Quindi di sicuro non siamo più quelli di allora, è cambiata la sensibilità di ognuno di noi, siamo di sicuro più ambientalisti e riconosciamo il valore dei nostri monumenti. Davvero, oggi un’immagine con gli operai in posa mentre stanno abbattendo una torre medievale non la scatterebbe più nessuno. Tuttavia se con la stessa macchina fotografica facessimo una passeggiata sui Colli potremmo immortalare un moderno biker che con la sua moto da enduro o da cross sfreccia a tutta velocità sugli stessi sentieri percorsi da famiglie e camminatori, oppure un cumolo di lavatrici, di eternit e di stracci che il verde non riesce a mimetizzare, malgrado siano lì ormai da anni. Ma un clic ce lo ruberebbe anche l’ignaro turista, magari proprio mentre coglie le orchidee di un vegro. E poi ci sarebbe tutto quello che non può essere documentato con una macchina fotografica: l’invisibile, l’abuso, il nascosto, il vuoto di potere nel quale si insinua l’illecito, il progetto demenziale del politico che ammicca al suo elettorato in cerca di voti facili.
Tutte ferite che continuano a far sanguinare i fianchi dei Colli, malgrado oggi esistano tutele, vincoli, disposizioni, discipline, leggi che, per fortuna, proibiscono la raccolta dei funghi, oltre un certo quantitativo, e l’abbattimento di vecchie mura bizantine.
Quindi, siamo davvero cambiati da quei trogloditi fieramente in posa mentre devastavano la “nostra” terra?
Certo, oggi, magari il Catajo riusciamo a salvarlo, perché siamo consapevoli che tra una splendida villa cinquecentesca e un centro commerciale, è meglio tenersi la villa, ma la stessa consapevolezza andrebbe usata anche nei confronti di un’area protetta, nel senso che è tutelata perché è unica, è irriproducibile, è un valore che appartiene a tutti e tutti ne dovremmo godere esclusivamente dei suoi valori propri. Non è un centro commerciale. Ecco: forse in cinquant’anni non siamo ancora riusciti a raggiungere una piena consapevolezza di ciò che i Colli Euganei rappresentano come identità nostra e come monumento della Natura.
Le foto e le didascalie che corredano questo articolo sono tratte dal libro La scoperta dei Colli Euganei a cura di Francesco Selmin, Cierre Edizioni