OK, il prezzo è INGIUSTO

Il problema della redditività per le imprese agricole è serio. Tanto che molte stanno decidendo di smettere definitivamente alcune produzioni
Sulla mia scrivania da qualche settimana tengo una foto, me l’ha invita un produttore di pere e ritrae l’estirpazione del suo frutteto. E purtroppo non è l’unica, in queste settimane molti produttori mi hanno segnalato che inizieranno le operazioni di abbattimento dei loro impianti: due nella Bassa padovana, uno nel Conselvano; un produttore biologico nel Rodigino, due nella Bassa veronese. Ma questo è solo un elenco pervenutomi da coltivatori che seguo personalmente. E’ facile immaginare che il problema sia molto più esteso rispetto all’esperienza che posso riportare, anzi sicuramente è così.
Del resto i problemi che affliggono il settore primario sono molteplici: vanno dalle malattie, come l’alternaria delle pere Abate o l’antracnosi delle mele, oppure i raccolti mandati in malora da insetti come cimice asiatica, ma su tutto pesa la politica dei prezzi. La reddittività in campagna sta diventando un problema serio. Il reddito ricavato, o meglio il non ricavato, dopo mesi e mesi di lavoro, di sacrifici, di spese per trattamenti e personale per la raccolta, non è più sufficiente per proseguire le attività. Molti frutticoltori dopo due o tre anni di bilanci in rosso hanno deciso di chiudere. E io penso che chi esce ora dalla frutticoltura o dall’orticoltura non vi rientrerà mai più. E’ una perdita di professionalità, di investimenti in campagna, di produzione.

Una delle cause della svalutazione di frutta e verdura è la disorganizzazione del mondo produttivo
A soffrire sono soprattutto le aziende di piccole dimensioni, nonostante il palliativo della vendita diretta. L’ortofrutta, per esempio, è fatta di tanti piccoli produttori e condotta da aziende famigliari, ma quando queste devono vendere i loro prodotti sono massacrate da un “mercato” che non tiene conto degli investimenti, delle crisi, dei sacrifici che sono necessari per portare i prodotti a completa maturazione, basta una minima quantità in più disponibile per far crollare domanda e prezzi.
L’agricoltura è spesso accusata di non sapere cosa produrre, quanto produrre e come produrre, come se questa attività fosse programmabile nel giro di qualche mese (produrre beni agricoli non è come fare bulloni o mascherine). Quando va bene – tra programmazione e raccolta – passano diversi mesi, è il caso dei cereali, ma quando va male occorrono alcuni anni, con grandi investimenti, come nel caso di frutteti e vigneti. Ecco allora fiorire contratti di filiera per cercare di arrotondare il valore dei nostri prodotti: cereali, nocciole, pomodoro, e così via. Spesso il vantaggio è solo appannaggio dell’industria in quanto tutti i rischi sono in carico al produttore.
I produttori agricoli sono in competizione tra loro, cercano di vendere il loro prodotto a tutti i costi, magari scegliendo la strada del ribasso o dell’accettazione di qualsiasi compromesso
Anche nei contratti di filiera i prezzi sono stabiliti a monte, mai a valle. A valle i produttori agricoli sono in competizione tra loro, cercano di vendere il loro prodotto a tutti i costi, magari scegliendo la strada del ribasso o dell’accettazione di qualsiasi compromesso (scarto, tagli, revisione prezzi, contestazioni su qualità, ecc.). Qualche anno fa molti si sono scandalizzati per il prezzo delle mele a 3 centesimi al kg (mele da destinare all’industria dei succhi o del sidro o dell’alcool); poi questa è diventata quasi una regola, non l’eccezione, per la quale non ci si scandalizza più. Abbiamo assistito, incapaci perfino di stupirci, all’offerta agostana di angurie a 1 centesimo al kg. Vergognoso. Ma in un carattere minuscolo sotto al prezzo esposto c’era anche la beffa: “Al produttore è stato riconosciuto il giusto prezzo”! Quale giusto prezzo, e per chi? Chi stabilisce il costo di produzione?
Manca, e non solo in Italia, un efficace sistema di misurazione del livello puntuale di prezzo per le produzioni agricole e agroalimentari all’ingrosso. Le Commissioni Provinciali Prezzi furono istituite presso le Camere di Commercio nel 1934 e, da allora, funzionano più o meno allo stesso modo: le indicazioni di prezzo rese pubbliche sono il frutto di una mera “negoziazione” tra i selezionati membri delle Commissioni e raramente riflettono il vero valore di scambio reale dei prodotti.

Il mercato non tiene conto degli investimenti e dei sacrifici che sono necessari per portare i prodotti a completa maturazione, basta una minima quantità in più disponibile per far crollare domanda e prezzi
Qualcuno sostiene che la colpa sia da attribuire solo alla GDO, la grande distribuzione organizzata dei supermercati, ma in realtà il problema è ovunque. Le industrie di trasformazione non si comportano in modo diverso, le Cooperative si trovano tra incudine e martello e spesso stanno dalla parte del più forte, ossia non dalla parte dell’agricoltore. Quando l’ex ministra Bellanova sostenne che il consumatore “dovrebbe” rifiutare di acquistare prodotti ortofrutticoli chiaramente sotto il costo di produzione, ho l’impressione che non sapesse quello che diceva: quali sono i costi di produzione, chi li stabilisce? Coldiretti? Cia? L’unione agricoltori? Il mercato? Il consumatore può comprendere qual è il confine tra il giusto costo di un prodotto e il prezzo da speculazione? Se fosse vero molti discount che propongono il “sotto costo” avrebbero già chiuso da tempo!!! Ricordo, amaramente, un episodio risalente ancora al 2010: il direttore commerciale di una Cooperativa frutticola mi disse che sarei diventato un bravo tecnico quando fossi riuscito a far produrre mele (ai nostri soci) a 10 centesimi il kg! È difficile se non impossibile diventare bravi quando solo per la raccolta delle mele, con personale in regola, i costi incidono per 7-8 centesimi il chilogrammo. Giudicate voi che tipo di personaggi tirano a volte le fila del mercato! Ma il consumatore questo non lo sa: non è al corrente del lavoro che sta dietro al prodotto che acquista.
L’Italia è battuta da molti competitori stranieri. Non siamo autosufficienti per molti prodotti, a partire dal grano
Il punto a mio avviso è che manca una voce di filiera e il settore, a livello mediatico, pecca di autorevolezza. Forse qualcuno pensa che il problema sarà risolto con la vendita diretta, con il km zero, con i GAS (gruppi di acquisto solidali), con le bancarelle lungo le strade, con internet? Ma questo sistema non tiene sulla scena internazionale di un mondo globalizzato, dove la popolazione continua ad aumentare e le città diventano centri da approvvigionare quotidianamente. L’Italia, in particolare in agricoltura, è battuta da molti competitori stranieri; non siamo autosufficienti per molti prodotti, a partire da grano tenero e duro, le nostre aziende e le loro aggregazioni sono spesso disorganizzate, disaggregate, polverizzate, dirette spesso da personale incompetente, perché quando mancano le risorse economiche, anche la scelta di un direttore commerciale può cadere sulla persona che costa meno. Ammesso che la scelta poi venga fatta in autonomia e libertà e non pilotata da clientelismi, nepotismo o interferenze di Organizzazioni Professionali. Collegate i punti e il quadro è abbastanza desolante.
Non so ancora quanti ettari di frutteto verranno abbattuti o altre produzioni abbandonate quest’inverno, ma non saranno pochi e quello che sconforta di più è che tutto avverrà nel più totale silenzio.