L’agricoltura ai tempi del coronavirus

Il settore non ha conosciuto soste, il lavoro è continuato anche con la massima allerta, per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione. I timori sono per il futuro, in quanto il Made in Italy è stato oggetto di discriminazioni a causa di timori ingiustificati sulla sua sicurezza
Come la natura, così l’agricoltura non si ferma e al settore primario viene riconosciuto un ruolo chiave anche in questo momento di emergenza. E il momento non è sicuramente facile, visto che il comparto agricolo, oltre i problemi portati dell’emergenza coronavirus, da mesi subisce attacchi per motivi diversi: dalla Brexit, ai dazi Usa e a tutte le politiche nazionaliste che stanno caratterizzando molti stati anche in Europa. La più grave per l’agricoltura, tuttavia, rimane la situazione provocata dell’epidemia, in quanto oltre a rivoluzionare il settore primario, ha fermato il già flebile sviluppo dell’intera economia italiana e modificato le abitudini della popolazione.
Tre milioni di italiani impiegati nella filiera alimentare. Dalle campagne alle industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati, lavoro continua per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione
Per evitare il diffondersi del contagio la pratica più diffusa è stata quella dell’isolamento, della quarantena, dell’astensione dal lavoro, ma non per il mondo dell’agricoltura che invece ha continuato il suo quotidiano impegno, grazie al lavoro dei tre milioni di italiani impiegati nella filiera alimentare, che dalle campagne all’industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati, si sono adoperati per garantire continuità alle forniture di cibo e bevande alla popolazione. Per mantenere gli scaffali dei punti vendita riforniti, anche nel pieno dell’epidemia Covid-19, è stato necessario che un intero gruppo di lavoratori continuasse a mantenere operative le aziende agricole e gli allevamenti, raggiungendo ogni giorno il posto di lavoro: sia nei campi che negli stabilimenti produttivi.
Non è stato facile e non lo sarà da qui in poi, perché tra le conseguenze portate dal coronavirus va considerato anche che l’Italia è stata tra i primi paesi a imbattersi nell’epidemia e ricevere la discriminazione dei propri prodotti agricoli, da parte di altri Paesi a causa di timori ingiustificati sulla loro sicurezza. Sono stati atteggiamenti che hanno fatto male all’immagine del Made in Italy e che rischiano di comprometterne l’appeal nel mercato mondiale. Un problema tanto serio che immediatamente alla Farnesina si è discusso di un piano salva export alimentare, del valore di 44,6 miliardi di euro, e di una campagna di comunicazione strategica a sostegno del settore agroalimentare. Ad oggi, infatti, un’azienda su due (53%) che esporta nell’agroalimentare ha ricevuto disdette negli ordini dall’estero secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. La campagna di comunicazione è diventata necessaria per combattere la disinformazione, gli attacchi strumentali e la concorrenza sleale che ha portato alcuni Paesi a richiedere addirittura insensate certificazioni sanitarie “virus free” su merci alimentari provenienti dalla Lombardia e dal Veneto, ma ci sono state anche assurde disdette per vino e cibi provenienti da tutta la Penisola sotto la spinta di una diffidenza spesso alimentata ad arte con fake news, tanto da far attivare al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale una casella di posta elettronica dove segnalare restrizioni e discriminazioni verso i prodotti italiani riscontrate nelle esportazioni.
Un’azienda su due (53%) che esporta nell’agroalimentare ha ricevuto disdette negli ordini dall’estero secondo l’indagine Coldiretti/Ixe’. La campagna di comunicazione è diventata necessaria per combattere la disinformazione
Si deve tenere conto del fatto che, quasi i due terzi (63%) delle esportazioni agroalimentari italiane interessano i Paesi dell’Unione Europea dove la crescita nel 2019 è stata del 3,6%. Il principale partner è la Germania dove l’export cresce del 2,9% e raggiunge i 7,2 miliardi, mentre le vendite sono praticamente stagnanti in Gran Bretagna con la Brexit e volano negli Stati Uniti (+11%) che con 4,7 miliardi di export, nonostante gli effetti negativi dei dazi, restano il primo mercato di sbocco fuori dai confini comunitari ed il quarto dopo Germania, Francia e Gran Bretagna. Ma i cambiamenti portati dalla pandemia hanno riguardato anche i carrelli della spesa degli italiani. La farina (+80%) e il latte (+20%) sono i cibi più acquistati nelle settimane dell’emergenza coronavirus.
Un’analisi della Coldiretti ha stilato un elenco dei prodotti alimentari più richiesti per riempire la dispensa con il crescente rischio quarantena, sulla base delle vendite del mondo Coop. La scelta degli italiani è stata quella di privilegiare alimenti semplici, alla base della dieta mediterranea, con una grande attenzione, però, alla conservabilità che ha favorito gli acquisti di prodotti in scatola. Se la farina, con un balzo dell’80% rispetto alla media del periodo, è stata il prodotto più acquistato viene scelta anche carne in scatola con un aumento del 60% e i legumi in scatola con un balzo del 55%. A finire nel carrello della spesa degli italiani sono stati soprattutto la pasta, con un +51%, e il riso, con un +39%, ma si registra una crescita del 39% anche per le conserve di pomodoro mentre le vendite dello zucchero salgono del 28%, quelle dell’olio da olive del +22%, il pesce surgelato del 21% e il latte Uht del 20%. Nelle scelte sono stati premiati i prodotti essenziali e penalizzate le scelte di gola dagli aperitivi (-9%) alle creme spalmabili (-8%). Negli acquisti va sottolineata anche la particolare attenzione con cui sono state scelte le merci, in quanto è stato riscontrato un deciso orientamento a sostenere gli acquisti di prodotti Made in Italy per aiutare lavoro ed economia.
A finire nel carrello della spesa degli italiani sono stati soprattutto la pasta, con un +51%, e il riso, con un +39%, ma si registra una crescita del 39% anche per le conserve di pomodoro mentre le vendite dello zucchero salgono del 28%, quelle dell’olio da olive del +22%, il pesce surgelato del 21% e il latte Uht del 20%
Segno che gli italiani hanno compreso la situazione di difficoltà e non hanno fatto mancare il loro sostegno alle eccellenze del nostro paese. Insomma un segno di responsabilità che è stato registrato anche attraverso le modalità con cui si è fatta la spesa. E’ aumento dell11% il numero di coloro che hanno scelto l’on line per i propri acquisti accompagnati da una disponibilità degli esercenti che hanno fatto lievitare del 7% il servizio per la consegna delle borse a domicilio.
Un servizio, va detto, che è stato accompagnato anche da quel senso di solidarietà che caratterizza il nostro paese nei momenti di bisogno, in quanto sono stati molti i volontari che si sono prestati per garantire il recapito della spesa nelle case degli anziani o delle persone isolate a causa del contatto con il virus. Anche gli agricoltori si sono organizzati, in questo periodo, soprattutto nel Veneto, per effettuare consegne a domicilio di ortofrutta, carne, olio, uova, miele e altri prodotti locali. Del resto l’invito dell’autorità sanitarie e del Governo a restare in casa è stato raccolto dal 43% degli italiani che ha tagliato anche le uscite per andare a fare la spesa, il 61% si rifornisce una sola volta a settimana, che rimane peraltro tra i comportamenti consentiti.
Il 46% degli italiani pensa che dovremo fare i conti con il virus almeno fino all’estate, un 7% fino al prossimo autunno e i più pessimisti (5%) pensano che durerà per tutto l’anno
Per quanto riguarda il futuro, l’ottimismo rimane cauto soprattutto perché è difficile immaginare quando l’Italia tornerà alla normalità. Quasi 1 italiano su 3 (30%) si aspetta che l’emergenza duri almeno fino a Pasqua mentre il 46% pensa che dovremo fare i conti con il virus almeno fino all’estate, un 7% fino al prossimo autunno e infine i più pessimisti (5%) pensano che durerà per tutto l’anno mentre non si pronuncia il 12% della popolazione.