Veneto e acqua. Crisi, un rapporto da ricostruire

Negli ultimi 30 anni è caduto il 40% di pioggia in meno e la temperatura è aumentata di mezzo grado a decennio. Malgrado ciò poco è stato fatto per contrastare lo sperpero di risorsa idrica. Oggi siamo all’emergenza
Manca l’acqua! Che fastidio rientrare a casa, aprire il rubinetto del lavandino e sentire che questo emette un sospiro e un gemito al posto del solito spuzzo. Che fastidio dover rimandare la doccia, dover cuocere la pasta con l’acqua della bottiglia e studiare assurdi strattagemmi per – almeno – lavarsi i denti o fare il bidet. Va beh, esiste la consolazione che prima o poi l’acqua la daranno … o no? Se si tratta di un guasto alla condotta la certezza esiste, ma se l’acqua che viene a mancare e quella che sarebbe dovuta scendere dal cielo, allora grattarsi la testa potrebbe essere l’unico gesto, non solo per esprimere un ragionevole dubbio. Perché già in questi primi mesi del 2023 i dati raccolti da Arpav mostrano una realtà molto simile allo scorso anno, durante il quale la carenza di pioggia e il grande caldo crearono pesanti danni all’agricoltura veneta. E non solo a quella se ricordiamo, e aggiungiamo, che durante la scorsa estate tra i rischi c’era anche la possibilità che venisse regimentata la disponibilità dell’acqua nella rete acquedottistica. Poi fortunatamente tutto si limitò all’accorato consiglio di non lavare l’auto o abbeverare il giardino … ma tant’è che ci risiamo: alla data del 15 febbraio sono caduti mediamente sul territorio regionale 0,5 millimetri di pioggia, quando il valore medio (1994-2022) è di 60 millimetri. Potremmo anche continuare a pensare che si tratti di una rara congiuntura particolarmente sfavorevole, ma in realtà è da un po’ che in Veneto l’acqua è la grande assente.
La media negli ultimi 30 anni mostra un calo spaventoso di risorsa idrica, ossia una riduzione del 40% dovuta a minori precipitazioni, mentre le temperature medie sono cresciute, dal 1993 al 2020, di 0,55 °C per decennio, un incremento superiore a quanto riscontrato a livello globale. Stanno in questi significativi scostamenti ambientali le cause delle inondazioni, delle tempeste, degli gli incendi che hanno danneggiato e distrutto parte del patrimonio pubblico, privato e agricolo della nostra regione negli ultimi anni e del resto secondo un’analisi realizzata da Xdi (The Cross Dependency Initiative) il Veneto occupa la quarta posizione nella classifica delle regioni europee maggiormente colpite dal cambiamento climatico, arrivando appena dopo la Bassa Sassonia in Germania, le Fiandre in Belgio, e Krasnodar in Russia. In Italia figuriamo al primo posto seguiti da Lombardia ed Emilia Romagna, rispettivamente al quinto e all’ottavo posto dello stesso ranking continentale, tra le aree più esposte agli eventi meteorologici estremi al cambiamento climatico nel 2050.
L’oggi si colloca più o meno alla metà dei dati presi in considerazione da questa forbice temporale, meno di un secolo tra i primi significativi scostamenti e le proiezioni nel primo cinquantennio del nuovo millennio, un tempo ragionevolmente lungo entro il quale, credo, sarebbe legittimo attendersi una nuova sensibilità nell’immaginare un nuovo modello di sviluppo. Qualcosa forse ci sarà anche, ma i dati non sembrerebbero mostrarne l’efficacia. Secondo Italy for Climate, l’agenzia che fornisce lo spaccato di consumi di energia pro capite, emissioni e utilizzo di fonti green in ogni regione del nostro Paese, il Veneto si trova al 6° posto come provincia più inquinante d’Italia, con 2,3 tonnellate di petrolio per abitante. In Italia ci sono 5 Regioni con almeno il 40% di consumi coperti da rinnovabili. Ma il Veneto non c’è. Sono ben 7 i dipartimenti che hanno azzerato i loro consumi di carbone. Ma anche qui il Veneto non figura. Risulta invece al secondo posto (dopo la Lombardia) per aumento di superficie cementificata: +684 ettari impermeabilizzati nel 2021 rispetto al 2020 secondo il rapporto Ispra. Si dirà che il Veneto, in virtù dalla sua economia, presenta processi produttivi più intensivi dal punto di vista dell’energia e per carità alla propria agiatezza un popolo si affeziona, però diventa anche indispensabile attribuire un nuovo concetto di ricchezza al paesaggio, al territorio e alle sue risorse perché l’unica energia realmente ad “impatto zero” è quella che non viene sprecata e l’acqua è un bene sempre più raro.
Quello che succede in superficie lo vediamo un po’ tutti, ma uno stillicidio si consuma anche nel sottosuolo: la rete acquedottistica mediamente disperde quasi un 35% di acqua – con dati diversi per provincia: Vicenza (24,7%) Padova (29,4%), Treviso (27,5%), Rovigo (36%), Verona (34,8%), Venezia (34,3), Belluno (70%) – tra quella immessa nella rete e quella utilizzata per usi civili, industriali e agricoli. Ma quello che preoccupa è che non ci sono trend decisi verso un cambiamento in positivo, come invece si nota in alcune zone della Lombardia. E’ vero l’acqua dispersa torna alla falda, ma se la falda è critica, come nel Veronese e nel Vicentino, dove c’è ancora il problema della contaminazione da Pfas, allora abbiamo un grave spreco: è necessario agire con le depurazioni e con altri interventi energivori e torniamo al punto di partenza, innalzando i valori d’inquinamento.
In generale, sarebbe necessaria una rete più efficiente: ad oggi le concessioni idriche sono superiori alle portate medie dei corsi d’acqua, si è fatto poco per il recupero delle acque di scarico e dell’acqua piovana, si continua a usare l’acqua potabile per l’irrigazione, magari con sistemi dispersivi a getto o a scorrimento. C’è, insomma, un Veneto che deve immaginare un nuovo rapporto con l’acqua, dopo le bonifiche che ne hanno gestito gli eccessi, oggi è la disponibilità la vera emergenza e ciò si ottiene con una nuova cultura o meglio una nuova civiltà che nel Veneto ricco e progredito deve continuare a coincidere con il lavarsi tutti i giorni.