Guerra e cambiamento climatico, due facce della stessa medaglia
Il clima agisce da moltiplicatore dei fattori scatenanti un conflitto, le attività belliche alimentano i cambiamenti del clima contribuendo alle emissioni globali di gas serra
Di questi tempi, il cambiamento climatico che modifica le nostre estati rendendole torride e asciutte, modifica anche i nostri inverni, che diventano miti e brevi. Manco le cimici muoiono più! Ovviamente queste sono le conseguenze dello stile di vita e dell’economia delle zone più antropizzate del mondo, ma a farne le spese spesso sono le popolazioni che non c’entrano nulla e che hanno meno armi per difendersi dal cambiamento climatico.
Il consumismo e il neo liberismo ci hanno resi egoisti, egocentrici e poco empatici specialmente verso i meno fortunati di noi. Anzi. Se la terra brucia non è colpa nostra per cui non esistono migranti climatici, non esistono guerre per l’accaparramento dell’acqua (l’oro blu), non esistono violenze per mancanza di cibo. Il cambiamento climatico provoca insicurezza alimentare, il cibo diventa sempre più inaccessibile e i prezzi aumentano. L’insicurezza alimentare oggi riguarda 40 milioni di persone in più rispetto al 2020. L’Europa ha già pagato un pesante tributo di vittime causate dal caldo. Secondo uno studio dell’Istituto ISGlobal di Barcellona e pubblicato su Nature, 61.000 sono stati i morti in Europa di cui 18.000 solo in Italia (estate 2022). Se poi aggiungiamo il progressivo invecchiamento della nostra popolazione non possiamo sperare in un roseo futuro.
L’insicurezza alimentare causata, dall’alterazione delle stagioni, oggi riguarda 40 milioni di persone in più rispetto al 2020
Aggiungiamo inoltre il forte legame esistente tra guerre e clima, che è biunivoco: il clima agisce da moltiplicatore dei fattori scatenanti un conflitto, le guerre alimentano i cambiamenti del clima contribuendo alle emissioni globali di gas serra. La guerra inquina, altera il clima e lo possiamo vedere tutti i giorni dai reportages televisivi. Quello che manca sono i dati reali, ci sono solo stime: per esempio dalla contabilizzazione delle emissioni di CO2 mancano quelle militari. I governi possono fornire o meno questi dati e questo rende impossibile quantificare con precisione l’impatto di questo
settore (sempre molto molto opaco da occidente a oriente). Pensate solo che “in tempo di pace” il terreno occupato (consumato) per scopi militari è compreso tra l’1% e il 6% delle terre emerse. In tempo di guerra invece i dati sono allarmanti e senza scomodare gli storici per ricordarci i disastri delle due Grandi Guerre pensiamo solo alle recenti: dalla guerra in Vietnam (distruzione di foreste stimata dal 14% al 44%), alla guerra in Libano (durata ber 17 anni) dalla guerra del Golfo del 1991 (dove gli incendi ai pozzi petroliferi hanno contribuito al 3-4% alle emissioni di anidride carbonica) al Conflitto Russo-Ucraino e al recente conflitto Israelo-Palestinese con devastazioni ambientali e di edifici molto simili. Senza contare tutti i conflitti minori di cui abbiamo una scarsa percezione (Africa in primis).
Secondo uno studio pubblicato su Nature, 61.000 sono stati i morti in Europa a causa del cambiamento climatico
I cambiamenti climatici provocano un fenomeno che molti non comprendono e non accettano: le migrazioni. Si stima che il 90% dei rifugiati del mondo provenga da paesi già colpiti dall’emergenza climatica o con minori capacità di adattamento. Molti conflitti sono generati proprio a causa del cambiamento climatico come ad esempio la guerra civile in Siria del 2011.
Una cosa sicuramente è vera: la pace non inquina e l’Europa l’ha sperimentato per quasi settant’anni. Ora siamo in pericolo, ambientale e climatico, e per difendersi il mondo si riarma: aumenta la produzione, il commercio e l’uso di armi. Ma difendersi da chi e da cosa? Forse difendersi da una umanità figlia di un Dio minore. Una parte del mondo che minaccia la nostra opulenta esistenza. Nella maggioranza dei casi, il cambiamento climatico agisce come un moltiplicatore di minacce, che può intensificare l’instabilità e l’insicurezza geopolitica, alimentare e idrica, destabilizzare intere regioni, generare flussi migratori e, quindi, portare a ulteriori conflitti. Mi vengono in mente i 17 punti dell’ONU dell’Agenda 2030, una serie di impegni sottoscritti tra il 25 e il 27 settembre 2015 dall’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) in occasione del suo 70° compleanno, ve ne ricordo solo due, i più attuali: Obiettivo 13. Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico. Obiettivo 16. Promuovere società pacifiche e inclusive per uno sviluppo sostenibile.
Punti che i fatti di oggi, mi pare, confermano rimare molto lontani dall’essere perseguiti entro il 2030.